martedì 26 luglio 2011

SMONTATO IL TEOREMA DELLA DIGOS E DEL QUESTORE DI TERNI CONTRO GLI ANTIFASCISTI

VINTO IL RICORSO CONTRO LA DENUNCIA PER  STAMPA CLANDESTINA
 
Il Giudice di pace di Terni, con sentenza del 25 maggio 2011 (le cui motivazioni abbiamo ora acquisito) ha riconosciuto l’inconsistenza dell’accusa di stampa clandestina ed accolto il ricorso presentato per la RAT, Rete Antifascista Ternana, dall’avvocato bolognese Marco Barone contro il Prefetto di Terni che aveva di fatto confermato il teorema della Digos e del Questore. E’ arrivata a conclusione positiva la vicenda che ha coinvolto dall’aprile 2010 due antifascisti ternani, accusati di stampa clandestina dalla DIGOS per aver distribuito all’ITIS il volantino “speciale 25 aprile” della RAT, rete antifascista ternana. La pretestuosità dell’accusa era lampante in quanto nel volantino erano indicati sia il luogo della stampa che i sottoscrittori: ben 25 tra associazioni, sindacati di base e partiti aderenti alla RAT.
Questa sentenza  è importante perché da anni non veniva più contestata la ‘stampa clandestina’.  C’è una chiara lesione della libertà di espressione se viene sanzionata -anche in via amministrativa- la diffusione di un volantino solo perché non viene indicato l'editore! Se la polizia colpisce la diffusione del pensiero, conseguentemente, affonda la libertà di espressione,  perché così non si possono liberamente diffondere le proprie idee tramite volantini e stampati. L'articolo 663 bis del codice penale, figlio di una società autoritaria ovvero fascista ove nessuna libertà in tal senso esisteva, può essere considerato ancora valido ed efficace specialmente alla luce dei principi definiti dalla Costituzione, dalla Carta di Nizza articolo 11 e dall’articolo 10 della CEDU in tema di libertà di espressione? Ovviamente no, ed il Giudice ci ha dato ragione.
Il fatto rientrava chiaramente nella strategia di provocazione della DIGOS e del Questura contro gli antifascisti che ha portato a 11 avvisi orali e poi a 4 denunce per coloro che avevano contestato con una manifestazione di massa il 28 febbraio 2010 la presenza dei fascisti di casapound all’aviosuperficie di Terni spalleggiati da Rotkopf dei Paganelli.
Siamo in attesa della sentenza del TAR contro gli avvisi orali, prevista tra pochi giorni ma ormai è chiaro il grave comportamento di Questura e DIGOS di fatto di ‘apertura’ alle derive neofasciste e di repressione dell’antifascismo. Chiediamo alle forze democratiche un intervento nel solco delle tradizioni operaie e partigiane del nostro territorio. Chiediamo che le denunce e gli avvisi orali vengano ritirati in quanto inconsistenti e frutto di una pratica repressiva e schierata da parte delle forze dell'ordine. Chiediamo invece di sapere qualcosa sulla bomba carta esplosa davanti al centro sociale Germinal Cimarelli e alla sede della confederazione Cobas il 17 giugno 2010.
FASCISTI E REPRESSIONE NO PASARAN.            RAT, rete antifascista ternana

 

AVIOSUPERFICIE: OVVERO REPRESSIONE CONTRO GLI ANTIFASCISTI, AFFARI TRA COMPAGNI DI MERENDE NEOFASCISTI, EXCOMUNISTI ED AFFARISTI VARI

Il 28 febbraio 2010 all’aviosuperficie di Terni centinaia di antifascisti hanno contestato con una decisa ma pacifica manifestazione i neofascisti di Casapound che, sotto la copertura della sigla “istinto rapace” stavano tentando di organizzare un corso di paracadutismo, grazie al sostegno della Rotkopf di Viscardo e Riccardo Paganelli. Nonostante tutte le cronache della manifestazione riportassero tensione politica ma assenza di violenza, abbiamo assistito allo stesso scenario che osserviamo quando si difende il territorio da interessi politici e speculativi, come le lotte NO TAV della valsusa, contro la base NATO a Vicenza o gli inceneritori in tutta Italia. Un nuovo protagonismo ‘politico’ della DIGOS che ha cercato di garantire gli affari della casta locale cercando di spostare il senso politico della contestazione a problema di ordine pubblico, infatti l'allora Questore Domenico Gregori ha emesso 11 avvisi orali contro altrettanti antifascisti, accusati solo del fatto di fare attività politica e definiti, con quel provvedimento, “socialmente pericolosi”. La questura utilizzava contro i soli antifascisti un provvedimento figlio delle leggi Scelba usato contro il crimine organizzato, con un chiaro intento intimidatorio, considerando l’antifascismo come un problema di ordine pubblico, mentre gli affari proliferavano al’ombra dei teloni dei paracadute.

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