domenica 30 gennaio 2011

PER I DIRITTI, PER IL LAVORO, PER IL FUTURO FACCIAMO UN PO' DI CHIAREZZA..


Il 28 gennaio 2011 a Terni si è svolta una Manifestazione Cittadina in difesa dei DIRITTI DEI LAVORATORI.

L' ASSOCIAZIONE PRIMIDELLASTRADA ha aderito e partecipato alla manifestazione insieme ad altre realtà territoriali organizzata in occasione dello SCIOPERO GENERALE dei METALMECCANICI, in solidarietà dei lavoratori FIAT di POMIGLIANO e MIRAFIORI messi sotto ricatto dall' AMMINISTRATORE-PADRONE Sergio MARCHIONNE, che vedono annullati i loro DIRITTI sanciti dallo STATUTO dei LAVORATORI, IL CONTRATTO NAZIONALE di CATEGORIA e LE FONDAMENTA COSTITUZIONALI che regolamentano il tema lavoro.



In difesa degli studenti che vedono un futuro sempre più buio al loro orizzonte, complice una riforma della scuola fatta dal Ministro Gelmini che scontenta gli stessi studenti, i docenti ed i ricercatori.



Noi Primidellastrada non siamo scesi in piazza per fare attività sindacale, anche perchè non spetta a noi farla, o per dire che questo sindacato è più bello di quell'altro, NOI siamo scesi in rappresentanza di una territorialità, del nostro statuto e del nostro agire sociale che ci porta in prima linea quando gli svantaggiati vengono attaccati.



Noi non accettiamo speculazioni propagandistiche che vogliono far sembrare che questa manifestazione è stata svolta in alternativa a quella di Perugia organizzata dalla FIOM.



La battaglia non crediamo che deve essere fra FIOM e COBAS ma fra sindacato e azienda, fra CLASSE OPERAIA e CLASSE PADRONALE, anche perchè con la logica del PADRONATO di usare come strategia politica la più antica del mondo:

il “DIVIDI ET IMPERA”, mettendo di fatto gli operai uno contro l’ altro, non si stanno facendo le fortune della CLASSE OPERAIA.



Inoltre chiediamo di aprire un tavolo provinciale ternano con tutte le realtà interessate,ognuno con la sua dialettica, ognuno con le sue differenze, ognuno con le sue autonomie ma con una sola LINEA COMUNE i DIRITTI dei LAVORATORI, in contrapposizione al PADRONATO stile MARCHIONNE così veramente UNITI CE LA POSSIAMO FARE !



Quindi noi saremo a sostegno di qualsiasi azione di lotta fatta negli interessi dei LAVORATORI e delle LAVORATRICI di STUDENTI e PRECARI e di tutti gli SVANTAGGIATI ed OPPRESSI, per aiutarli ad alzare la testa, e per farli tornare ad essere di nuovo protagonisti e non semplici, inutili ed inanimati manichini come questo sistema omologato, repressivo e capitalista vorrebbe renderli.



Terni, 30 gennaio 2011



Associazione Comunista Sportiva Dilettantistica

PRIMIDELLASTRADA - TERNI

mercoledì 26 gennaio 2011

MERCATOBRADO


30 GENNAIO 2011
DALLE 11 AL TRAMONTO
VIA DEL LANIFICIO 19, TERNI

I PRODUTTORI DI MERCATOBRADO NON SONO CERTIFICATI BIOLOGICI.
SONO AUTOCERTIFICATI GENUINI/
UNA PRATICA CONSOLIDATA DI GARANZIA PER PRODUTTORE E CONSUMATORE.
UN MODO SEMPLICE PER DIRE CHE IL CIBO NON E' UNA MERCE.

lunedì 24 gennaio 2011

28 GENNAIO 2011 SCIOPERO GENERALIZZATO, MANIFESTAZIONE CITTADINA A TERNI.


LAVORATORI, PRECARI E STUDENTI IN PIAZZA

LA CRISI SIA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA

Il 28 Gennaio 2011, insieme ai metalmeccanici, sciopereranno e manifesteranno tutte le categorie del lavoro dipendente pubblico e privato.

Inoltre manifesteranno gli studenti protagonisti della rivolta anti-Gelmini dei mesi scorsi, i precari ed i precarizzati.

A Terni ci sarà il 28 gennaio una manifestazione cittadina ed un corteo che partirà alle ore 9.30 da piazza Tacito ed arriverà davanti ai cancelli della Thyssenkrupp.

La prossima riunione pubblica (aperta a tutti i soggetti individuali e collettivi interessati alla costruzione di una giornata di lotta e conflitto) è fissata per Martedì 25 alle ore 17,30, presso il Centro sociale “Germinal Cimarelli”.

Lo sciopero del 28 è contro quel potere economico che ha trascinato l'Italia nella più grave crisi del dopoguerra, e che, invece di pagare per la sua opera distruttiva, cerca di smantellare ciò che resta delle conquiste e dei diritti dei salariati/e, dei settori popolari e dei beni comuni;

  • contro il governo Berlusconi che, aggravando le politiche liberiste del precedente governo Prodi, ha cancellato centinaia di migliaia di posti di lavoro nelle fabbriche e nelle strutture pubbliche (a partire dalla scuola: 140 mila posti in meno ed espulsione in massa dei precari), ha imposto catastrofiche "riforme" della Scuola e dell'Università, nel Pubblico Impiego, ha bloccato i contratti, con il decreto Brunetta ha sequestrato la contrattazione e i diritti lavorativi e sindacali, mentre con il decreto Ronchi vuole definitivamente privatizzare i servizi pubblici tra cui l'acqua;
  • contro un padronato parassitario e reazionario, che, guidato dal capo-banda Fiat Marchionne, va all’assalto di ciò che resta dei diritti dei salariati;
  • contro il costante aumento delle spese militari, per le quali non vale il discorso della crisi economica;
  • contro il crescente impegno bellico dell'Italia, che, calpestando l'articolo 11 della Costituzione, fa sì che il nostro Paese sia impegnato in vere e proprie guerre.

Le lotte dei precari della scuola, degli studenti del movimento e la risposta degli operai di Mirafiori all’Accordo-Vergogna, imposto da Marchionne, potenziano le fondamenta su cui poggiare lo sciopero generalizzato e le iniziative di piazza.

Confederazione Cobas Terni, USB Unione Sindacale di Base Umbria, Cobas Orvietano, Collettivo studentesco “La crepa nel muro”, Comitato Umbro per l’acqua pubblica, Associazione “Primidellastrada”-Curva Est, Centro sociale “Germinal Cimarelli”, Club “La Terra di Nessuno”, Comitato Cittadino Antifascista_Orvieto, Associazione Centro di documentazione Popolare_Orvieto, Casa Rossa Spoleto, Comitato Antirazzista Spoleto

domenica 16 gennaio 2011

Repressione a Terni, L'antifascismo non si Processa

Comunicato Stampa della "Rete Antifascista Ternana"

A 10 mesi dal presidio antifascista che il 28 febbraio 2010 portò oltre 300 persone a manifestare per allontanare i neofascisti di casapound dall’aviosuperficie di Terni, la lunga “inchiesta” a senso unico della Digos locale ha portato il Pubblico Ministero Barbara Mazzullo a contestare a quattro ragazzi ternani di “
aver partecipato ad una riunione pubblica in numero superiore a dieci, compiendo manifestazioni, emettendo grida sediziose e lanciando fumogeni”. Di fatto il PM contesta l’attività antifascista, attuata nel solco della storia cittadina e della Costituzione che afferma, nel capitolo XII delle disposizioni transitorie e finali, “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

Non ci vergogniamo di dire fascisti ai fascisti di Casapound, né pensiamo sia un reato opporsi in maniera chiara e decisa a chi fa dei pestaggi, del razzismo, del sessismo e dell’omofobia la sua pratica quotidiana richiamandosi esplicitamente alla dittatura fascista. Pensiamo che manifestare l’antifascismo e l’indisponibilità di una città operaia come Terni a rigurgiti neofascisti non sia un reato ma un dovere ed una necessità rispetto alla storia ed al presente, nell’anniversario dell’uccisione del partigiano Germinal Cimarelli.

Cerchiamo di ricostruire i fatti, contro il tentativo di trasformare una importante manifestazione politica in problema di ordine pubblico.

A quella manifestazione di massa hanno partecipato centinaia di ternani ed anche importanti cariche istituzionali come gli assessori regionali Stufara e comunali Ricci e Guerra, la presidente di circoscrizione Malafoglia, il vicesindaco Paci ed il consigliere comunale Nannini per ribadire l’indisponibilità della città ad ospitare iniziative di chiara matrice neofascista anche se mascherate da evento sportivo tramite l’associazione di copertura “istinto rapace”.

Il risultato fu assolutamente positivo, infatti dopo quell’iniziativa fu riconosciuto il carattere politico dell’evento e il Comune di Terni e l’ATC tolsero la disponibilità dello spazio ai fascisti di Casapound. Ricordiamo le parole del Sindaco di Terni: “crediamo si possa scongiurare l’utilizzo della struttura pubblica per motivazioni politiche strumentali, a maggior ragione deprecabili quando provenienti da associazioni e gruppi i cui principi sono inconciliabili con le radici democratiche e antifasciste sancite dalla Carta costituzionale e proprie della città di Terni “.

Quella manifestazione è stata piena di contenuti, con uno speakeraggio continuato tutta la mattinata ma non ci sono stati contatti diretti, nonostante i saluti romani e l’atteggiamento provocatorio dei neofascisti. Anche i giornali parlarono di tensione ma di nessun incidente. Un anno dopo i fatti, dopo l’uso politico degli avvisi orali, intimidazione della Questura contro antifascisti locali, le “indagini” a senso unico della Digos, cercano di criminalizzare l’antifascismo e di legittimare i fascisti, cercando di trasformare fumogeni colorati in armi pericolose mentre ancora nessuna risposta proviene dalle forze dell’ordine sulla bomba carta di chiara matrice fascista esplosa il 17 giugno davanti alla sede del centro sociale Cimarelli e dei Cobas.

La Rete Antifascista Ternana condanna il tentativo di criminalizzare una manifestazione di massa determinata che ha impedito ai neofascisti di casapound di prendere piede nella nostra città.


Arci Terni, Arciragazzi "gli anni in tasca", Associazione "Buaba", Associazione "Demetra", Associazione "Interni Stranieri", associazione "il Pettirosso", associazione "Plaza de Mayo", Associazione "primidellastrada", Blob Lgc.-Laboratorio comunicazione, circolo de Il Manifesto di Terni, comitato antifascista cittadino di Orvieto, Centro sociale "Germinal Cimarelli", circolo anarchico "Carlotta Orientale", Confederazione Cobas, Curva Est Ternana, Alerta Network, USPK, F.G.C.I., Giovani Comunisti, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito della Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Sinistra ecologia e libertà

sabato 15 gennaio 2011

67° Anniversario della morte del Partigiano Germinal Cimarelli

2 Giorni di Incontri, cene, concerti e commemorazioni.
Come ogni anno per commemorare il partigiano che da il nome l nostro Centro Sociale, si organizzano le CIMARELLIADI
Quest'anno abbiamo preparato per voi due giorni di Incontri dibattiti, concerti e per non farci mancare niente, l'ormai caratteristica passeggiata ed abbuffata a Sant'Erasmo.

Programma

Sabato 22 alle ore 17 - presentazione del libro:

Impiccati! storie di morte nelle prigioni italiane
di Luca Cardinalini
Saranno presenti alla presentazione anche i Genitori di Stefano Cucchi.


A seguire (ore 20:00) ci sarà una cena sociale per contribuire alle spese del centro sociale e alle spese legali dei compagni colpiti dalla repressione "dell'ordine costituito" negli ultimi mesi.


La serata si concluderà con il concerto di ben 3 gruppi:


Taste the floor
punk hardcore Roma

http://www.myspace.com/tastethefloor

Gli ultimi
Roma hardcore

http://www.myspace.com/gliultimi/music/songs/eroe-43298729

Assedio
Viterbo hardcore

http://www.myspace.com/AssedioHC

inizio concerti ore 22:30
siate puntuali ingresso a sottoscrizione

Il tutto, chiaramente, presso il CSA Germinal Cimarelli.

Domenida 23 si concludono le cimarelliadi come ogni anni con la passeggiata che dalla chiesa di s. erasmo ci porta al monumento di Germinal Cimarelli a Torre Maggiore.
dopo la passeggiata pranzo con panini e vino sotto al monumento
APPUNTAMENTO ALLE ORE 11:00 ALLA CHIESA DI S.ERASMO



LA MEMORIA NON SI CANCELLA

IERI PARTIGIANI OGGI ANTIFASCISTI

lunedì 10 gennaio 2011

Algeria e Tunisia: proteste, scontri, rivolte e morti

algeria_scontriDopo l'Algeria brucia la Tunisia. 20 morti nella rivolta per il pane

20 morti in Tunisia a casua delle rivolte contro il carovita. Il Maghreb, stretto tra crisi economica e autoritarismo politico, si mostra improvvisamente in fiamme davanti all'opinione pubblica mondiale. Un rappresentante dell'opposizione tunisina in esilio ha dichiarato a Le Monde che la situazione nel suo paese è, al momento, "totalmente priva di esiti certi".

http://www.lemonde.fr/afrique/article/2011/01/09/tunisie-nous-marchons-vers-l-inconnu_1463104_3212.html#ens_id=1245377

Aggiornamento ore 16.30: E' ormai confermata la notizia di 20 morti tra i manifestanti che da ieri stannno promuovendo iniziative di protesta contro la crisi e il regime di Ben Ali in Tunisia. Secondo Ahmed Nejib Chebbi, leader del Partito democratico progressista, unico partito d'opposizione riconosciuto dal regime, durante le manifestazioni di Kasserine e Thala la polizia ha sparato ripetutamente sui cortei ferendo molte persone e uccidendone 20, tra cui studenti medi e bambini. Al limite della crudeltà e dell'efferatezza la polizia ha aggredito con le armi da fuoco un corteo funebre. Il numero dei morti potrebbe aumentare nelle prossime ore vista la quantità di feriti gravi che sono stati ricoverati negli ospedali. Ad ora il governo ha ammesso che "ci sono stati due morti a Thala uccisi dalla polizia per legittima difesa".
Seguiranno altri aggiornamenti...

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Il movimento contro la crisi e il regime di Ben Ali sta attraversando un momento decisivo. Il regime ha alzato il livello dello scontro aumentando l'uso delle armi da fuoco per reprimere i cortei. Ieri sono stati uccisi quattro manifestanti, e si sta diffondendo proprio ora la notizia da fonti ancora da verificare di altri morti, (si parla di 20 rivoltosi uccisi, tra cui un bambino di 12 anni) durante alcune manifestazioni. Gli studenti medi continuano ad organizzare spontaneamente cortei e scioperi e si sperimentano le prime occupazioni delle facoltà. Dalla rete il flusso di informazioni su come aggirare i cyber-controlli del regime ha raggiunto la gran parte degli utenti che stanno fortunosamente applicando saperi una volta patrimonio di una piccola elites di internauti. E ieri il sindacato dopo aver sfilato nella capitale ha alzato i toni diffondendo una dichiarazione in 10 punti per rilanciare la lotta... che sembra voler puntare alla proclamazione di un grande sciopero.

Video: Morti e feriti all'ospedale

Comunicato del Partito Socialista dei Lavoratori d'Algeria Sulla rivolta in atto in Tunisia

Viva la Gioventù Tunisina!

La rivolta sociale che si estende attraverso la Tunisia è il risultato del fallimento della politica liberista del regime poliziesco antisociale di Ben Ali. Il movimento è iniziato nella regione di Sidi Bouzid nel centro-ovest della Tunisia il 19 dicembre, a seguito di un tentativo di suicidio di un giovane laureato 26 anni. Nei violenti scontri tra polizia e manifestanti ci sono stati morti e feriti.. Queste rivolte non sono atti isolati. Alla popolazione della regione mineraria di Gafsa, della Skhira e di Ben Guerdane ,esclusa dal miracolo economico presentato come vetrina del regime, che lotta ormai da tre anni, oggi siaggiunge quella del Governatorato di Sidi Bouzid che manifesta e si solleva per rivendicare posti di lavoro, la fine della corruzione, dei favoritismi e delle ingiustizie. I lavoratori, i sindacalisti hanno organizzato manifestazioni di sostegno in diverse città come Biserta, Tunisi, Sousse,Sfax e Nabeul.

La rabbia popolare contro il costo della vita e l'emarginazione sociale smaschera la vetrina del liberismo proposta dal FMI e dalla Banca mondiale. Ci ricorda la massiccia disoccupazione giovanile e il deterioramento delle condizioni di vita delle masse in tutto il Maghreb. L'unica risposta delle autorità è stata la repressione: arresti di massa, torture, schedature da parte della polizia e dell'esercito che non hanno esitato a sparare proiettili veri sulla folla, provocando diversi morti e decine di feriti. Il PST afferma il suo pieno sostegno alle legittime lotte dei lavoratori e dei giovani tunisini per occupazione, la dignità e contro i guasti della politica liberista capitalista che sopportano da più di un quarto di secolo. Il PST si appella alla solidarietà nazionale con le masse in lotta per chiedere la fine della repressione, la liberazione degli arrestati, il ritiro delle forze di polizia e dell'esercito e il ripristino delle libertà democratiche espropriate.

La Segreteria Nazionale del Partito Socialista dei lavoratori d'Algeria

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L'abbraccio algerino all'attacco del potere

L'abbraccio algerino da giorni attanaglia il regime, un abbraccio che stringe tutta l'Algeria della rabbia e del protagonismo sociale del proletariato giovanile, dei disoccupati e dei precari che hanno ormai gettato a terra la speranza. In Algeria non si spera più nei programmi di sviluppo, negli investimenti, nelle nuove incredibili opportunità di lavoro e ricchezza con cui il regime e i padroni hanno incantato le generazioni di algerini successive alla guerra civile.

E' da più di un anno che in Algeria non si spera più, o meglio si percepiscono come insopportabili e inaccettabili provocazioni gli slogan che rimandano ad un futuro prossimo di ricchezza e benessere. Anche in Algeria si è capito che la speranza è un'arma del padrone. E non aiuta a comprendere gli eventi di questi giorni la banale semplificazione proposta da giornali e numerosi commentatori del riflesso quasi automatico che il movimento tunisino ha provocato nella piazza del paese confinante. Se non si mette da parte questa banalità, che sembra fare delle soggettività sociali delle manifestazioni di istinti acefali (ma si sa quando si parla di nord africa si usa spesso a destra e a sinistra la misura del cammello o al massimo si concede quella del beduino), ben poco si riuscirà a comprendere delle ragioni e delle passioni, della composizione sociale della rivolta attuale e del suo lungo e insistente lavoro di scavo ed emergenza nel territorio magrebino della crisi.

L'Algeria nel 2010 è stato un territorio ad alta tensione. Le lotte sociali hanno assunto fin da subito la radicalità dello scontro tra abitanti dei quartieri proletari, divenuti ormai qualcosa di molto prossimo alle bidonville, e le politiche dell'abitare messe in atto dall'amministrazione del regime. Il piano quinquennale 2005/2009 varato dal governo è completamente fallito, da una parte per gli interessi di lobby e clientele dell'edilizia pubblica e privata, dall'altra per la speculazione sui mutui e i prestiti che il governo avrebbe dovuto facilitare per tutti quelli che volevano acquistare una prima casa. L'eclatante fallimento del piano dell'edilizia pubblica si è accompagnato a centinaia di operazioni e tentativi di "sgombero ed evacuazione" da parte della polizia di molti quartieri abitati per lo più dagli assegnatari del piano casa. A fronte dei tanti soldi pubblici volatilizzati nelle tasche di costruttori, dei ripetuti tentativi di sgombero, della fine dell'illusione per migliaia di famiglie di poter vivere sotto un tetto dignitosamente la rabbia sociale è esplosa.


Tizi Ouzou, Algeri, Costantine, Annaba, Rouiba, Chlef, Ghardaia, Oran, i grandi centri cittadini, insieme a decine e decine di paesi e località più piccole si sono incendiate della rivolta della lotta per il diritto alla casa: adolescenti, studenti, giovani disoccupati, e lavoratori dei quartieri a rischio sgombero e assegnatari mancati del piano sull'edilizia popolare sono scesi in strada, non per difendere la miseria in cui il regime li aveva costretti da anni, ma per affermare il proprio diritto alla dignità, il proprio rifiuto a vivere in condizioni disumane. I blocchi stradali, scaldati e illuminati da barricate e pneumatici in fiamme, sono stati gli strumenti di lotta che hanno coinvolto centinaia e centinaia di uomini e donne, con i ragazzi più giovani in prima fila a difendere la barricata dalla violenza poliziesca lanciando pietre e molotof.

Il 2010 in Algeria è trascorso così in moltissime città e paesi: tra barricate, blocchi stradali delle arterie regionali e nazionali, tentativi di sgombero, resistenza e contrapposizione sociale. Alla questione della casa va aggiunta la lotta per le infrastrutture civili che in molte aree dell'Algeria sono completamente inesistenti (dall'acqua pubblica agli ospedali) e la lotta per il diritto al gas. Sembra un paradosso, uno di quei paradossi che fanno ghignare solo gli affaristi dell'Fmi, ma l'Algeria, uno dei primi produttori di gas dell'area mediterranea, non garantisce le forniture di carburante a buona parte della popolazione. Questo in estrema sintesi il quadro di lotta e crisi del 2010 algerino (con più di 112878 interventi di ordine pubblico, e più di 9000 insorgenze e scontri secondo il quotidiano Liberté), che ha visto le giovani generazioni di studenti, di universitari e disoccupati in lotta contro "la mal vie", contro la speranza ormai tramutata in menzogna svelata di un futuro desiderabile.


Nelle lotte del 2010 va scoperta l'accumulazione di forza sociale,
di saperi antagonisti e di passioni ribelli che da focolai diffusi oggi si stanno tramutando nel fuoco della rivolta generalizzata contro la crisi e la governance del regime al potere in Algeria.

Candido e con tono paternalistico, il ministro dello sport e alla gioventù, Hachemi Djari ha esortato i giovani a "manifestare pacificamente, e a dialogare in modo pacifico e civile, lontani da atti di vandalismo che non portano da nessuna parte", dimenticando che dal 1992 in Algeria è in vigore lo stato d'emergenza e che tutte le manifestazioni sono proibite. Il ministro allo sport lo ha dimenticato, ma la polizia e il ministero degli interni a quanto pare no, e neanche i rivoltosi che in questi giorni per poter continuare la mobilitazione contro il caro vita e la crisi hanno dovuto organizzarsi per difendersi e reggere un livello repressivo altissimo che ha già ucciso due giovanissimi manifestanti.


Dai primi giorni di Gennaio, da lunedì sera l'Algeria è in rivolta.
Nelle grandi città, da Algeri ad Oran, da Bejaia ad Annaba, fino ai paesi più piccoli, giovani e giovanissimi proletari precari o disoccupati stanno manifestando contro la crisi, il caro vita e la condizione bestiale in cui si trovano costretti ormai da tempo. Come per tutto il 2010 la pratica di lotta è in larga parte il blocco della città e poi anche delle strade regionali e nazionali, barricate e pneumatici fumanti, tentativi di sgombero delle strade da parte delle forze poliziesche, lanci di pietre e molotov. Fin dai primi giorni a questa iniziativa di lotta, sempre più massificata e partecipata che mostra la determinazione a voler mantenere la posizione politica nello scontro, si sono aggiunti numerosi saccheggi, incendi e attacchi ad edifici pubblici (tribunali, commissariati di polizia, poste, sedi dell'amministrazione) e privati (negozi, distributori, centri commerciali, banche). Ad Oran è stato assaltato e distrutto il più grande showroom della Toyota nel Magreb, ad Algeri invece è stata la volta dello showroom della Renault, come a indicare l'ormai superata soglia della tolleranza per una ricchezza che fa bella mostra di sé in città dietro le vetrine restando pur sempre irraggiungibile per molti.


Ieri venerdì 7 e oggi sembra aumentare il livello di diffusione e radicalità dell'insorgenza sociale.
Gli appelli degli himam (che non si stancano di ricordare che ad Allah piace la vita serena) e le dichiarazioni del governo che promette di mantenere stabili i prezzi dei beni alimentari di prima necessità (il cui aumento aveva fatto da primo detonatore della rivolta) non sembrano intimidire o calmare le strade e le piazze. Come ieri notte ancora oggi blocchi stradali, barricate e assalti a commissariati di polizia, edifici pubblici e saccheggi di negozi di abbigliamento e di elettronica. La piazza algerina stremata dalla crisi, dal caro vita sta volta sembra voler riprendersi tutto, e volere altro delle solite promesse o dei diritti che la governance del regime non può garantire se non a parole.

Il video degli scontri

tratto da www.infoaut.org

8 gennaio 2010

Si vive di ingiustizia, si muore di carcere. Yuri, Marcello, le Sughere, le bombolette di gas

yuriE così, stando a quello che si sa fino a oggi, sul corpo di Yuri Attinà «dopo un esame accurato non sono emersi segni di percosse o violenza». Lo ha riferito ieri il consulente di parte nominato dalla famiglia dopo l’autopsia, effettuata dal medico legale Luigi Papi. Rimangono i dubbi espressi dai familiari che riferiscono di aver potuto vedere il corpo del ragazzo fino al busto, e di avere riscontrato macchie violacee sul collo e sulla schiena. Rimangono gli ulteriori dubbi espressi dagli stessi familiari e da chi lo conosceva come un ragazzo forte e robusto, per nulla sofferente di problemi cardiaci.

In assenza di nuovi elementi (si prospettano ulteriori analisi per stabilire con maggior precisione la natura del decesso) questa, al momento, rimane la verità ufficiale. L’autopsia non ha rilevato le cause della morte improvvisa di Yuri, ed è stata ventilata l’ipotesi di un decesso dovuto all’inalazione di gas dalle bombolette da campeggio in dotazione ai detenuti per scaldare il cibo: una pratica assai diffusa all’interno delle carceri italiane e delle Sughere in particolare per ottenere un temporaneo effetto di “sballo”. Ma di questo parleremo dopo.

Urgono in primo luogo alcune considerazioni. Pestaggio o meno, il decesso di Yuri rimane, a prescindere, una morte di Stato. Lo Stato aveva in consegna il suo giovane corpo e Yuri aveva lo stesso diritto alla salute che spetta ai cittadini “liberi” e, secondo gli stessi codici che vorrebbero dare una parvenza di umanità a quella discarica sociale che sono le carceri italiane, una volta scontata la pena sarebbe dovuto uscire dal carcere sulle sue gambe così come era entrato. Ma sappiamo bene a quali disumane procedure sono sottoposte le persone detenute, che tra permessi dei magistrati di sorveglianza, strutture sanitarie penitenziarie inesistenti o insufficienti e inefficienti, vedono pregiudicati gli interventi sia ordinari che d’urgenza dietro le sbarre. Risuonano sinistramente tragiche le parole della sorella di Yuri pronunciate davanti alle telecamere, durante l'affollato presidio svoltosi ieri davanti al carcere delle Sughere: “Non penso che i tossicodipendenti debbano finire in carcere, ci sarebbe piuttosto bisogno di strutture alternative. Però pensavamo che la permanenza in carcere gli avrebbe fatto bene, almeno sarebbe rimasto per un po' lontano dalle sostanze...»

Non staremo qui a ribadire ancora una volta il degrado in cui versa il sistema penitenziario italiano. I numeri sono conosciuti, e da qualche tempo anche i quotidiani e i mass media nazionali sembrano essersene accorti, proprio sulla scorta dai casi più famosi e “presentabili” di detenuti deceduti nelle carceri italiane. Lo stesso Tirreno di Livorno, in genere refrattario ad approfondire tematiche scomode e controcorrente, nei giorni immediatamente seguenti alla morte di Yuri ha reso pubblici i dati che riguardano il famigerato carcere di Livorno: segno anche questo che la misura è colma. Le Sughere contiene una popolazione carceraria con il 64% di persone in più rispetto alla sua effettiva capienza, è il secondo carcere in Italia come numero di tentati suicidi, e vanta il triste record di 20 morti in 10 anni, molti dei quali attribuiti alle famigerate bombolette del gas.

Già, le bombolette. In carcere esistono pochi modi per passare il tempo. Uno di questi è la cucina, per cui la possibilità di cuocere i cibi è essenziale. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione piccole cucine da campeggio, con cui i detenuti fanno tutto, dal caffè ai piatti più complicati. Da sempre le bombolette del gas distribuite ai detenuti vengono usate anche per altri scopi: l’inalazione del gas provoca sonnolenza e uno stordimento simile alle droghe leggere, e molti detenuti ne approfittano per sballarsi e non pensare. Nulla di diverso da quanto, in maniera legale, viene propinato in maniera massiccia dalla stessa amministrazione penitenziaria: è veramente difficile che chi sia “dentro” non faccia uso di “goccioline”, ovvero di dosi massicce di psicofarmaci somministrate senza controllo a tutti, distribuite senza criterio a chi ne faccia semplice richiesta. Con conseguenze nefaste a livelli di dipendenza accentuata, con danni alla psiche e al sistema nervoso. Da parte dell’amministrazione penitenziaria la somministrazione di psicofarmaci e la tolleranza per l’uso del gas ha dunque una palese motivazione: torna comodo stordire i detenuti, meno propensi in questo modo a dare problemi e a scomodare le guardie, soprattutto in periodo di crisi e di taglio al personale di sorveglianza. Ma il mantenimento delle cucine da campeggio torna doppiamente utile: a Livorno come in tutta Italia, molti morti sospette all’interno delle mura carcerarie vengono motivate con l’uso del gas. In altri paesi, le cucine da campeggio sono state sostituite da cucine elettriche e da forni a microonde. In Italia si mantengono le cucine a gas per spiegare strumentalmente le morti scomode. Come hanno già fatto per Marcello Lonzi. Come si accingono a fare per Yuri Attinà. (Desmond)

Scarica qui il documento di Zone del silenzio sulle carceri

(tratto da www.autautpisa.it)

10 gennaio 2011

mercoledì 5 gennaio 2011

La Lega ha fatto "il botto": Cronaca di una perquisizione nel "profondo nord"

lega_nord_gemonioNella notte tra martedì 28 e mercoledì 29 dicembre alcune persone hanno fatto esplodere, davanti alla sede della Lega Nord di Gemonio, in provincia di Varese, un paio di petardi artigianali. Gemonio è (ahimè) tristemente famosa per essere il luogo dove il segretario della Lega Bossi ha la sua abitazione, ed è una delle roccaforti leghiste della provincia varesina.

Il mattino seguente all'esplosione di questi petardi, di cui solo uno è deflagrato distruggendo la vetrata principale della sede leghista, il ridente paesello si è svegliato al centro dell'attenzione del mainstream nazionale, con troupe di tutte le emittenti televisive e i cittadini, stupiti di tanta attenzione rivolta, che facevano a gara per rilasciare dichiarazioni di ogni sorta e con polizia e carabinieri che militarizzavano velocemente la via centrale del paese, dove si trova la sede, con posti di blocco. In quel momento era già scattata la caccia al pericoloso nemico "interno", con i militanti leghisti e la Questura di Varese che facevano a gara a chi la sparava più grossa: la fantomatica "bomba" (già si era passati dall'esplosione di un petardo ad una vera e propria bomba) era stata piazzata dagli "anarchici insurrezionalisti" della provincia.

All'alba di venerdì 31 dicembre scattano le prime perquisizioni ordinate dal PM: vengono perquisite le abitazioni di persone considerate, dalla magistratura e dalla Questura, vicine all'area antagonista e anarchica. A casa del sottoscritto la Digos si presenta alle cinque e trenta del mattino, con mandato di perquisizione alla ricerca di "armi ed esplosivi", manco fossi il bombarolo che canta De Andrè: la perquisizione dà esito negativo, ma per giustificarla fanno alcune foto a degli adesivi anti-fascisti in camera mia. Oltre a casa mia, la Digos si presenta a casa di alcuni compagni della provincia da me conosciuti con cui ho condiviso un percorso politico anni addietro, naturalmente uscendo a mani vuote anche da queste perquisizioni. Inoltre la Polizia si reca a casa di uno dei miei più cari amici (estraneo a qualsiasi percorso di lotta politica) in quanto "persona informata dei fatti", perquisendo casa sua senza uno straccio di mandato avendo "fondato sospetto di detenzione abusiva di armi ed esplosivi". A casa sua la Digos sequestra forbici da potatura (normale, dato che fa il giardiniere), bossoli esplosi di fucile (normale, dato che il padre andava a caccia), guanti da lavoro (normale, dato che lavora!), bombolette spray (normale, visto che nel tempo libero ama fare writing nei posti abbandonati) e alcuni petardi (normale, dato che era il 31 dicembre!): insomma, secondo la Questura, il ritratto perfetto del pericoloso "anarchico attentatore" della sede della Lega.

Dopo avergli sequestrato tutto ciò la Digos lo porta in Questura a Varese: nel percorso da Gemonio a Varese, viene sottoposto ad una serie di domande e pressioni psicologiche riguardanti la nostra amicizia e la mia persona. La Polizia tenta, in ogni modo, di estorcergli dichiarazioni sulla mia responsabilità diretta e/o partecipazione con altri e con lui all'esplosione della sede leghista, arrivando addirittura a paventare l'idea che lui stia coprendo il sottoscritto. (Le frasi di circostanza sono: "dì la verità dai sei stato tu con il tuo amico criminale!", "siete amici da una vita, sicuramente ti ha detto che la bomba l'ha messa lui e non ce lo vuoi dire", "il tuo amico sta a Torino a fare casino coi centri sociali, diccelo che è stato lui" e così via). Non trovando riscontro le loro pressioni e minacce, la Digos decide di non convalidare il fermo, vista la mancanza di prove a suo carico, ma scatta la denuncia per possesso illegale di armi (le famose forbici da potatura!). Oltre a lui, carabinieri e polizia denunciano altri due giovani di Gemonio, convalidando l'arresto per uno di loro perché trovato in possesso di un circuito elettrico "sospetto" (strano per uno che fa l'elettricista!).

Nel pomeriggio del 31 la Questura tiene una conferenza stampa (che definire farsa è un complimento) dove rivendica il suo operato in toto e dove gli elementi di prova contro le persone perquisite sono costituiti da una bandiera dei pirati, un circuito elettrico, due forbici da potatura e qualche bomboletta spray per murales: non c'è che dire, prove schiaccianti! E' notizia di oggi che il GIP decide la scarcerazione per mancanza di prove a carico del ragazzo in carcere, definendo il suo arresto "illegittimo".

Dopo aver sottoposto un ragazzo incensurato di 21 anni al carcere, altre persone a perquisizioni umilianti e arbitrarie senza mandato, dopo che le famiglie di questi ragazzi sono state definite "padane e leghiste" da Bossi e sfruttate ai fini elettorali, quale altra sparata dovremmo aspettarci dalla Lega Nord e dalla Questura di Varese nella loro gara a chi la spara più grossa?

Lorenzo Carrieri

Studente universitario a Torino, nato e residente a Gemonio. Tra i perquisiti dopo i petardoni contro la sede della Lega Nord

tratto da www.infoaut.org

Scuole occupate, raffica di denunce indagati decine di studenti milanesi

Immediata la protesta: "I ragazzi sotto accusa solo per aver manifestato. Una cosa del genere
non era mai accaduta". Il vicesindaco De Corato: "Il Comune si costituirà parte civile nei processi"

di DAVIDE CARLUCCI

Il primo fascicolo d'indagine è stato affidato al pm Grazia Pradella. Il magistrato - che nella sua carriera si è occupato di casi come la strage di piazza Fontana o le morti per malasanità alla clinica Santa Rita - ora dovrà valutare se decine di studenti appena maggiorenni che a novembre hanno occupato le scuole superiori di Milano per protestare contro la riforma Gelmini, hanno commesso o no i reati di occupazione abusiva e violenza privata.

L'inchiesta è una conseguenza della decisione di alcuni presidi di denunciare i liceali alla Digos e ai carabinieri. Le informative delle forze dell'ordine, alle quali sono allegati gli elenchi dei ragazzi identificati con tanto di foto segnaletiche, stanno arrivando in questi giorni in procura. La prima riguarda il liceo artistico Caravaggio, sgomberato il 18 novembre dagli agenti in tenuta antisommossa, che provvidero a far rimuovere i banchi che bloccavano l'ingresso. In quell'occasione furono identificati 13 studenti, alcuni dei quali non avevano ancora compiuto diciott'anni - per loro sarà disposto il trasferimento degli atti alla procura minorile - e sette appartenenti al centro sociale Bottiglieria che avevano dormito nell'istituto.

A chiamare la polizia era stata la preside del Caravaggio, che il 18 novembre scriveva una relazione piuttosto allarmata al provveditorato: "Un gruppo di alunni a viso coperto ha fatto irruzione a viso coperto". Quello del Caravaggio non è l'unico caso in cui i dirigenti scolastici hanno denunciato gli studenti, che nel corso dell'autunno hanno proclamato l'autogestione in decine di scuole cittadine dal liceo pedagogico Tenca al classico Manzoni, dal Vittorio Veneto al Pascal, entrambi licei scientifici.

"Negli ultimi vent'anni non si ha notizia di procedimenti per occupazione abusiva a carico studenti: non è tollerabile, così s'innalza il livello repressivo", protesta Mirko Mazzali, avvocato storico dei movimenti giovanili milanesi, difensore anche degli universitari che a dicembre sono stati fermati per il blocco stradale e il lancio di petardi davanti alla Bicocca. "Sono sicuro che la magistratura archivierà tutto", continua Mazzali. Non se lo augura affatto il vicesindaco Riccardo De Corato, che invece incoraggia l'azione delle forze dell'ordine: "Ora attendiamo che la Digos faccia scattare le denunce per i cortei che hanno tenuto in scacco Milano, proprio come era stato già fatto dalla questura di Roma, che per i fatti del 14 dicembre ha indagato 68 manifestanti.

Il Comune è pronto a costituirsi parte civile nei procedimenti penali". Poco importa, per l'esponente del Pdl, che nel capoluogo lombardo gli scontri siano stati molto meno aspri che nella capitale. "Vorrei ricordare che si è trattato di cortei, anche random, con percorsi non autorizzati, conditi da vergognosi scontri con forze dell'ordine, imbrattamenti vari, traffico cittadino in tilt con conseguente deviazione e rallentamenti delle linee Atm. E i costi di queste "simpatiche" promenade sono gravati sulla collettività. Che ha pagato un conto salatissimo. Un milione di euro solo per gli ultimi otto cortei".

Ora spetterà al pubblico ministero titolare del fascicolo decidere se confermare le accuse e avviare un'inchiesta, oppure chiedere l'archiviazione per queste ipotesi di reato che, in passato, molto raramente sono state contestate agli studenti "occupanti". Lo stesso pm Pradella dovrà valutare, sulla base di altri rapporti della Digos, la posizione di alcuni ragazzi che hanno partecipato alle manifestazioni durante i giorni caldi della protesta e sono stati coinvolti in scontri con le forze dell'ordine.


tratto da repubblica.it

Fallisce la manifestazione contro Battisti. Ma non in tv

battisti_manif_piazza-navona-5Quella che riportiamo in fondo è probabilmente l'unica cronaca, di testimoni diretti con foto scattate al cellulare, del fallimento della manifestazione romana contro Cesare Battisti. Fallimento che si accompagna a quello della manifestazione milanese e di altre minori (a Firenze ci risulta un sit-in di una dozzina di persone). Evidentemente l'accanimento, clamorosamente fuori tempo storico, contro Battisti interessa solo alle redazioni dei giornali e ai parlamentari della repubblica. Perchè il popolo, chiamato a riparare l'onta venuta dal Brasile, non ha minimamente risposto. Il tg5, che oggigiorno è una cosa da far tremare i polsi ad Orwell, nell'edizione del mattino del mercoledì ha invece parlato di una grossa manifestazione romana. Anzi, chi ha la possibilità di sentire il registrato rischia pure di trovarsi di fronte all'aggettivo "imponente". Stendiamo quindi un velo pietoso sulle demenziali ricostruzioni giornalistiche della vicenda Battisti. O sui servizi alla bersagliera del tg7 dove, assieme a dichiarazioni sull'orgoglio tricolore ferito, scorrevano immagini di Italia-Brasile dell'82. Rimane solo da farsi una domanda: perchè il caso Battisti è stato trattato a questo modo?

Perchè l'unica cosa che questo ceto politico sa fare è gridare all'emergenza. In televisione funziona in piazza, come abbiamo visto, regna l'indifferenza. (red) 5 gennaio 2010)

la fonte

http://www.militant-blog.org/?p=3857#more-3857



Nonostante il freddo pungente della giornata, è sempre bello farsi un giretto tra le bancarelle di piazza Navona, soprattutto quando tra le fontane di Bernini e i banchetti che vendono la mela stregata di Biancaneve si sono dati appuntamento tutti i maggiori esponenti della politica italiana, di una parte e dell’altra dello schieramento parlamentare, per quanto sempre dalla stessa parte della barricata. A far che? Ma ovvio! A piazza Navona c’è il palazzo che ospita l’ambasciata del Brasile e quale migliore occasione per avere un po’ di visibilità mediatica se non quella di “protestare” contro la mancata estradizione di Cesare Battisti? Tra l’altro sapevamo che quest’oggi la manifestazione di protesta avrebbe assunto un gusto del tutto particolare: si sarebbe trattato, infatti, di un presidio “a turno” – prima Pdl e Santanchè, poi Pd e Idv, infine La destra di Storace – per evitare che maggioranza e opposizione fossero presenti contemporaneamente nella stessa piazza, unite e contente con le stesse richieste. Ci potremmo chiedere perché ci si debba vergognare di manifestare insieme quando non solo si condividono le stesse posizioni sul caso Battisti, ma anche su tutto il resto della politica interna e internazionale, ma la risposta sarebbe troppo semplice. Ci potremmo anche chiedere perché non li abbiamo visti protestare a piazza Navona due anni fa quando a vendere bambolotti umanitari c’era la terrorista (questa sì, vera) dei Nar Francesca Mambro (leggi), ma anche in questo caso la risposta sarebbe scontata, anche perché viviamo in una città in cui i sodali di partito di alcuni dei principali esponenti degli “estraditori” regalano contatti a tempo indeterminato e ruoli dirigenziali nelle amministrazioni comunali proprio ad ex esponenti dei Nar (leggi e leggi).

Su una cosa vogliamo essere onesti sin dal principio: la curiosità di vedere quante persone – dopo giorni e giorni (anni) di battage mediatico contro il Brasile e Battisti, di discorsi su quanto la decisione di Lula fosse un’offesa per Italia e italiani, di dichiarazioni sull’onta da lavare, ecc. ecc. – si sentissero davvero coinvolte da questa vicenda era davvero tanta. Arriviamo alle 16 (giusto in tempo per il turno del Pdl e dei suoi giovani!) stupendoci di come nelle vie adiacenti a piazza Navona ci fossero ancora, nonostante l’articolo incredulo di repubblica , i nostri manifesti. Voltiamo l’angolo e… ma come? Solo una cinquantina di persone – curiosi, turisti, bambini con la calza della Befana e poliziotti inclusi? Ma non eravamo un popolo offeso? Ma l’estradizione di Battisti non è tra le prime notizie di giornali e telegiornali da settimane (evidentemente considerano questa una notizia importante! Così importante che se si parla di essa è inutile perdere tempo a parlare anche dell’accordo su Mirafiori, del fatto che i precari di oggi non avranno alcuna pensione tra 40 anni, del fatto che un terzo delle famiglie italiane non sa come far fronte alle spese impreviste ma, comunque, per l’anno prossimo è previsto un aumento del costo della vita pari a circa mille euro a famiglia, ecc. ecc.)? Eppure niente, i manifestanti scarseggiano.

Ci facciamo un giretto, piazza Navona avanti e indietro, una puntatina a Campo de’ fiori a vedere come stavano gli altri manifesti (alcuni strappati, altri no), torniamo sotto l’ambasciata brasiliana a dare un’altra occhiatina. I manifestanti sono leggermente aumentati – ormai a 60 ci arrivano senza contare anche le guardie -, e giusto il tempo di riconoscere camerati vari ed eventuali, qualche esponente della sede di azione giovani di via Benaco (tutti sinceri democratici, eh!), che già iniziano a disperdersi. Qualche fumogeno bianco tra i tricolori, pochi cori, che stentano a partire (certo, magari “l’estradizione, vogliamo l’estradizione” e “terrorista, sei solo un terrorista” cantati sulle note di Guantanamera non sono il massimo per coinvolgere le persone), i turisti (italiani e non) che non capiscono (proviamo a spiegargli perché alcune persone con la bandiera italiana manifestano contro l’ambasciata brasiliana, ma se ne vanno più smarriti di prima), l’attenzione della piazza rivolta più ai giocolieri che ai megafoni. Ci passa accanto un signore che, ironico, si guarda i manifestanti chiedendosi “ma questi non li paga nessuno, eh?” e se ne va. Ed è ora di andare anche per noi: sono quasi le 17, si avvicina il turno del Pd, e non vogliamo proprio incontrarli.

Tornati a casa, con nostra grande sorpresa, scopriamo che non sono solo i nostri occhi di comunisti faziosi ad aver visto un numero irrisorio di manifestanti… Repubblica parla di “alcune decine di persone” (vedi), il “Corriere della sera” (vedi) e addirittura Il Giornale (leggi alla seconda pagina) di “un centinaio”. Solo una cosa ci sorprende: che nell’era in cui ci sono foto e filmati di tutti, in cui Repubblica addirittura fa interi servizi su un singolo manifestante (scambiando un ragazzo di 16 anni per un infiltrato… che arguzia!), le foto di questeo presidio-flop siano pochine e tutte molto ravvicinate. Prevedendo ciò, ci abbiamo pensato noi (anche se con un cellulare a bassa risoluzione)…


martedì 4 gennaio 2011

DemocraFIAT

O votate come voglio io oppure votate come voglio io, le possibili scelte contemplate dalla democraFIAT si riducono alla fin fine a questo amletico dubbio. Difatti Marchionne ieri non poteva essere più chiaro quando ha detto che in caso di rifiuto dell’accordo da parte dei lavoratori di Mirafiori l’azienda da lui guidata non investirà più nella fabbrica torinese. Tanto valeva, in tempi di crisi, disoccupazione e cassa integrazione, puntare una pistola alla tempia dei lavoratori al momento del “libero” voto. Ora, senza dover per questo sognare di vivere nel socialismo, crediamo che in uno stato anche solo sovrano e (liberal)democratico queste parole avrebbero dovuto suscitare la reazione indignata di istituzioni, partiti e sindacati. Qualcuno avrebbe dovuto magari far notare al signor Marchionne che se la FIAT oggi è ancora in grado di produrre pessime auto e perchè negli ultimi decenni ha potuto contare su miliardi (di vecchie lire) e milioni (di nuovi euro) sottratti ai contribuenti sotto forma di agevolazioni fiscali, sovvenzioni dirette e indirette, incentivi e regalie di interi settori di industria pubblica. Il che, in un paese in cui le tasse le paga solo chi ha la ritenuta alla fonte, equivale a dire che se la FIAT è ancora in vita lo deve solo e soltanto ai lavoratori. Per non parlare poi del plusvalore estorto a chi in FIAT c’ha sputato l’anima per poi essere preso a calci nel culo quando s’è trattato di ristrutturare, ma questi si sa sono ragionamenti da pericolosi comunisti. Chi fa più specie, però, è il sindacato. E non ci riferiamo certo a quelle propagini aziendali in cui da tempo si sono trasformate CISL e UIL. Parliamo invece della CGIL che in questi giorni per voce della sua segretaria Camusso sta facendo di tutto per indebolire la posizione della FIOM sperando in questo modo di poter finalmente tornare a sedersi al tavolo della concertazione. Intervenendo urbi et orbi un po’ da tutti i giornali e le televisioni nazionali la segretaria della CGIL continua a sostenere che in caso di vittoria dei Si al referendum la FIOM dovrebbe fare uno sfrozo di “realismo”, accettare il verdetto e firmare anch’essa l’accordo. E’ dovuto addirittura intervenire Cofferati per ribadire che è lo stesso statuto del’ sindacato dei metalmeccanici a rendere impossibile tale ipotesi e che su alcuni diritti ritenuti “incedibili” come la libertà di sciopero e di associazione non si può derogare. E il fatto che Cofferati sia diventato” l’ala sinistra” l dice molto lunga su quanto in realtà sia scivolato a destra il dibattito politico e sindacale in questo paese. Il fatto però, è che la controreplica è stata ancora più imbarazzante della prima affermazione, in quel vabbè un modo per firmare si trova c’è tutta l’ansia neocorporativa che ha portato i lavoratori italiani nella condizione in cui sono. In tutta Europa si sono succeduti numerosi scioperi generali contro la crisi, in tutta Europa tranne che in Italia, un motivo ci sarà…


tratto da : http://www.militant-blog.org/

apericena militante con dj set fino a tarda notte


Ora
Domani alle 7.30 - giovedì alle 3.00

Luogocsa Germinal Cimarelli via del lanificio 19 a Terni

Creato da

Maggiori informazioniapericena al csa dall 19: 30 in poi con ricco buffet e alcool a profusione....
non mancate per conlcudere le feste in allegria con i compagni e le compagne del centro sociale.


a seguire dj set fino a tarda notte per farvi saltare e ballare al ritmo di
ska
trash
rocksteady
rock
reggae
e chi piu ne ha piu ne metta


prezzi popolari



L'intero ricavato andrà per i lavori di ristrutturamento e la sistemzione del csa


vi aspettiamo numerosi
A Falluja centinaia di bambini nascono con difetti al cuore, allo scheletro, al sistema nervoso. Il tasso di malformazioni nei neonati è di undici volte superiore alla norma e negli ultimi anni ha fatto registrare un incremento spaventoso, raggiungendo livelli record nei primi sei mesi del 2010. Un'epidemia di danni genetici causata probabilmente dalle armi degli americani, che nel 2004 attaccarono due volte la città irachena. E' quanto sostiene uno studio scientifico che sarà pubblicato sul prossimo numero dell'InternationalJournal of Environmental Research and Public Health e di cui il Guardian ha dato alcune anticipazioni.

Nessuno prima d'ora aveva avuto il coraggio di mettere in relazione la guerra con il fenomeno delle malformazioni, eppure di indagini ne erano state fatte. Due ricerche avevano già dimostrato come a Falluja, dopo l'attacco americano, le nascite di bambini maschi fossero improvvisamente diminuite del 15%. Da uno studio epidemiologico pubblicato nel luglio scorso, inoltre, è emerso che nella stessa zona, fra il 2004 e il 2009, il numero di tumori e leucemie è quadruplicato. Ora è superiore a quello registrato fra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.

L'ultimo rapporto ha analizzato la situazione di 55 famiglie in cui, fra il maggio e l'agosto di quest'anno, sono nati bambini con gravi malformazioni. Soltanto nel mese di maggio, dei 547 bambini presi in esame, quelli deformi erano il 15%. Nello stesso periodo si è avuto l'11% di parti prematuri e il 14% di aborti spontanei. A detta però degli stessi scienziati che li hanno prodotti, questi dati fotografano la realtà in modo incompleto. A Falluja, infatti, la maggior parte delle donne non partorisce in ospedale. E quelle che danno alla luce un figlio deforme, difficilmente si rivolgono a un medico. Eppure, alcuni casi documentati nella ricerca raccontano una verità difficile da fraintendere. Come quello di una madre e una figlia, che, dopo il 2004, hanno partorito entrambe bambini malformati. Il padre di uno dei due piccoli si è risposato e ha avuto un altro figlio, anche lui con problemi genetici.

"In condizioni normali, le probabilità che si verifichi un caso simile rasentano lo zero - ha spiegato al quotidiano inglese Mozhgan Savabieasfahani, uno degli estensori del rapporto - e sospettiamo che la popolazione sia cronicamente esposta a un agente ambientale. Non sappiamo quale sia, ma stiamo facendo ulteriori test per appurarlo". Non lo sappiamo, ma lo sospettiamo fortemente. Gli scienziati parlano genericamente di "metalli" come possibili responsabili delle malformazioni. Per prudenza, devono tenersi sul vago.

Chi invece non ha mai aperto un manuale di tossicologia in vita sua, ma magari ha letto un giornale, pensa immediatamente a qualcosa di specifico: i proiettili all'uranio impoverito usati dai soldati americani nell'aprile e soprattutto nel novembre del 2004, durante la seconda battaglia di Falluja. In quell'occasione, all'attacco partecipò anche l'esercito inglese.

In realtà, la questione è controversa. Molti sostengono che i famigerati proiettili portino con sé un residuo tossico, pericoloso soprattutto nel lungo periodo. Al momento, però, non ci sono prove scientifiche. Anzi, secondo alcuni sarebbe addirittura dimostrato che l'uranio impoverito non possa agire come contaminante. Ma non è questo il punto. Gli stessi ricercatori ammettono che "diversi altri contaminanti usati in guerra possono interferire con lo sviluppo dell'embrione e del feto". Ricordano, ad esempio, "i devastanti effetti della diossina" sui bambini vietnamiti.

Anche ammettere l'innocenza dell'uranio impoverito, quindi, non basterebbe a scagionare l'esercito americano. Nel 2005 un'inchiesta di Rainews24 documentò che, dopo i bombardamenti, i soldati Usa erano soliti gettare a caso per le strade di Falluja quintali di fosforo bianco. Inizialmente il Dipartimento di Stato americano aveva negato.

In seguito, il Dipartimento della Difesa aveva ammesso l'utilizzo del fosforo bianco come arma offensiva contro i nemici (già questo sarebbe illegale: nel '97 gli Usa hanno firmato una convenzione contro l'utilizzo delle armi chimiche), ma aveva escluso categoricamente di aver colpito dei civili. Willie Pete, come amichevolmente viene chiamato dai militari il "White Phosphorus", scioglie la carne umana come un'aspirina. E, negli anni, è fonte di mutazioni genetiche.

Oggi come allora l'esercito americano rifiuta ogni responsabilità. Non solo. Quasi a schernire gli iracheni, ha fatto sapere che chiunque abbia delle lamentele è invitato a scrivere messaggi di protesta al Pentagono. Alcuni disperati l’hanno fatto. Inutile dire che non hanno ricevuto risposta.

Carlo Musilli

tratto da www.altrenotizie.org

3 gennaio 2010

4 gennaio 1959 Cuba libre!


Il 4 gennaio 1959 Ernesto Guevara entrò a l'Avana, la capitale cubana. La lotta per la liberazione da Batista del popolo cubano era ormai alla fine, ed iniziava finalmente il tempo della rivoluzione.

Dopo mesi di conflitto ormai il dittatore filoamericano era fuggito da Cuba la notte del 31 Dicembre cercando asilo in Repubblica Dominicana.

Tutto ebbe inizio il 26 luglio del 1953 quando i ribelli attaccarono la caserma Moncada a Santiago, questi furono ampiamente sconfitti e molti morirono nel conflitto. Tra i sopravvissuti ci furono Fidel Castro e il fratello Raul che furono immediatamente arrestati e detenuti lungamente nelle carceri cubane.

Nel 1955 vi fu un'amnistia e i fratelli Castro vennero sprigionati ed esiliati in Messico. Qui iniziò a raccogliersi una milizia di esuli cubani e marxisti internazionalisti che muovevano l'intento di liberare Cuba da Batista e di costruire il socialismo. A questi si unì anche l'argentino Ernesto Guevara.

I ribelli quindi si imbarcarono alla volta dell'isola cubana sulla nave "Granma", ma furono attaccati appena sbarcati. La sconfitta fu devastante, quasi tutti i rivoluzionari morirono o furono arrestati e condannati a morte senza processo. Tra di essi solo in 12 si salvarono, tra cui Fidel, Raul e Che Guevara.

Nonostante ciò i ribelli non si arresero e iniziarono a fare un lavoro di radicamento sul territorio e verso la popolazione cubana, creando un ampio consenso e ampliando le fila dell'esercito ribelle. Contemporaneamente strinsero alleanze con i compagni ed i dissidenti politici che erano rimasti a Cuba nonostante la repressione.

La strategia inizialmente si fece di indebolimento delle fila nemiche. Infatti rimasero a stazionare nella selva della Sierra Maestra per molto tempo, portando attacchi rapidi e determinati all'esercito di Batista.

Il dittatore tentò di reagire con una sostanziale controffensiva detta operazione "Verano" ma i risultati non furono quelli sperati e l'esercito regolare fu duramente battuto nella battaglia di La Plata.

La tattica dei ribelli si modificò, e mentre restavano aperti quattro fronti guidati da Fidel e Raul e da Juan Almeida, due fronti mobili, detti colonne muovevano verso la capitale con a capo Che Guevara e Camillo Cienfuegos.

Presto Santa Clara fu liberata e i due giunsero nei pressi dell'Avana dove con il dittatore fuggito la vittoria fu scontata, l'8 gennaio infine anche Fidel Castro giunse nella capitale cubana e fu acclamato dal popolo.



25 letture consigliate dalla Libreria Don Durito

book_blocSaggi, ma anche romanzi. Dall'antifascismo, all'ecologia, all'economia, alla musica; dalla scuola, alla casa, all'antirazzismo. Strumenti di analisi e spunti di riflessione alla fine di un anno di mobilitazione e verso un nuovo anno sempre in movimento.

Con il sangue agli occhi, Jackson, Agenzia X

Con il sangue agli occhi raccoglie le lettere e i saggi di teoria politica che l’autore scrisse dopo la morte del giovanissimo fratello Jonathan, ucciso mentre tentava di liberare tre detenuti neri. George L. Jackson fece uscire clandestinamente dal penitenziario di San Quentin questo manoscritto pochi giorni prima di essere assassinato dai secondini, il 21 agosto 1971. [continua]

Piazza Fontana, Brilli-Fenoglio, BeccoGiallo

Milano, 12 dicembre 1969. A metà pomeriggio la Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana è ancora affollata per le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame, che per tradizione si tengono di venerdì. Alle 16 e 37, nel salone principale dell'edificio, esplode una bomba collocata per provocare il più alto numero di vittime: al piano terra, sotto il tavolo che si trova al centro della stanza, di fronte agli sportelli. Il bilancio finale è di 17 morti e decine di feriti. L'esplosione segna l'inizio della strategia della tensione e apre il sipario sui dieci anni più controversi e bui della più recente storia italiana. [continua]

Un'altra birra, Acanfora, Altreconomia

Italia, terra di santi, navigatori e birrai. Un fenomeno che ormai conta quasi 300 birrifici artigianali, tra piccoli produttori e brewpub. Un mondo in fermento che coltiva l’attenzione alla qualità e alle materie prime, i legami con il territorio, l’autarchia -ove possibile- e la sostenibilità delle produzioni, il lavoro sociale. [continua]

Filosofie di Avatar, Caronia, Mimesis

Avatar segna una rivoluzione nel cinema e nell’immaginario. Certo non inattesa, ma non per questo meno radicale. Le nuove tecniche 3D creano per lo spettatore situazioni di coinvolgimento e di immersione prima impensabili. Tutto il sistema di produzione e di distribuzione è stato sconvolto e ridisegnato dal film di Cameron. In questo nuovo intreccio fra immaginario, tecnica e produzione, il cinema si riconferma snodo centrale dell’industria culturale – e quindi anche indice, sintomo e forza propulsiva di qualcosa che va al di là di essa. [continua]

Il nucleare non è la rispostaIl nucleare non e' la risposta, Helen Caldicott

In un mondo lacerato da guerre per il petrolio, i politici hanno cominciato a guardare sempre più alle fonti di energia alternativa, ma le loro scelte più importanti si sono indirizzate sul nucleare. Uno dei miti di-usi negli anni sostiene che la produzione di elettricità dal nucleare non contribuisce al riscaldamento globale, non inquina, costa poco ed è sicura. L’attivista antinucleare Helen Caldicott, nota in tutto il mondo, in questo libro svela i veri costi e le possibili conseguenze del nucleare, citando fatti che smentiscono l’incessante fuoco di sbarramento messo in atto dalla propaganda finanziata dall’industria nucleare.[continua]

2012 la grande crisi, Aldo Giannuli, Ponte alle Grazie

Nel 2012 non finirà certamente il mondo: ma potrebbe cambiare la Storia. Il triennio ’12-14 si prospetta infatti come un crocevia di eventi epocali. Non solo, come già paventano banche centrali e istituti di rating, siamo ancora dentro la crisi, ma essa potrebbe intensificarsi gravemente. Fra le cause, la fragilità economica legata al debito USA ma anche di alcuni paesi europei, con la scadenza di titoli di Stato e obbligazioni per il mostruoso totale di circa ventimila miliardi; la guerra valutaria e commerciale fra Occidente e Cina; la crisi dell’Unione Europea con il rischio di una sua scissione, ed eventi politici di grande portata: le elezioni presidenziali in USA, Francia e Russia, il cambio della dirigenza cinese, la nomina del nuovo governatore della BCE e, nella nostra piccola Italia, la possibilità strisciante di forme soft o meno soft di secessione. [continua]

Lumi di Punk, Philopat, AgenziaX

"Un’esplosione di furore, di energia positiva e negativa insieme. Il punk, nihilismo in qualche modo costruttivo." La nascita del punk in Italia si è intrecciata allo straordinario movimento della sinistra extraparlamentare. Da questo incontro, quasi inesistente altrove, esplode un’originale esperienza che utilizza gli spazi occupati dalla precedente generazione per organizzare concerti autogestiti e strutturare un’innovativa e radicale proposta politico-esistenziale. [continua]

Socialismo Perche' No?, Cohen, Ponte alle Grazie

Questo è il miglior mondo possibile? Chi può sostenerlo, oggi? Chi può imporci di pensare che ogni nostra aspirazione a cambiare la storia sia destinata al fallimento? Davvero il socialismo è indesiderabile, davvero è irrealizzabile?
Leggete: questo libriccino prezioso - un rigoroso saggio filosofico scritto per tutti, con umorismo e saggezza - è capace di farci ragionare daccapo intorno a questioni oggi più vive che mai. E di confortarci, con il pensiero di una giustizia e di una fratellanza finalmente possibili.[continua]

Come si cura il naziCome si cura il nazi? Bifo, Ombre Corte

L'aggressività nazionalista, il razzismo, l'integralismo religioso, il fanatismo dell'appartenenza sono tornati sulla scena del mondo e rischiano di portarlo verso la barbarie. Come possiamo definire questo ritorno della bestia immonda? Possiamo chiamare "fascismo" comportamenti così diversi? Forse dovremmo parlare piuttosto di una psicopatia che si sta diffondendo nella vita quotidiana delle popolazioni del mondo dopo trent'anni di sistematico incitamento alla competizione. [continua]

MIke Davis, I Latinos alla conquista degli USA

Una analisi sul dato fondamentale degli ultimi anni negli USA: il peso numerico e politico sempre crescente degli immigrati latinos, che ridisegnano non solo il paesaggio urbano delle città americane, ma anche il panorama politico e gli orientamenti della sinistra. [continua]

Comune. Oltre il privato e il pubblicoComune, Toni Negri e Michael Hardt

Dopo il comunismo e il capitalismo, oltre Karl Marx e Adam Smith c'è la vera alternativa: il "comune", ovvero il bene comune. Insieme di conoscenze, linguaggi, affetti, energie, mobilità e natura, questo patrimonio generale è ciò a cui deve tendere la moltitudine se vuole modificare davvero, dalle radici, l'impero economico odierno. Non attraverso l'insurrezione armata o la violenza sovversiva. Ma con una serie di pratiche che mira a restituire alle masse quello che appartiene loro di diritto, da sempre: la sovranità. [continua]

Moderato sarà lei, Bascetta e D'Eramo, Manifestolibri

Cosa sia il moderatismo, nessuno dei molti che vi si richiamano, indicandolo come la via maestra del benessere e del progresso, sembra in grado di spiegarlo. Non trattandosi di un metodo, né di un insieme precisabile di principi, il termine finisce con l’indicare nulla più che un punto intermedio su una scala relativa a ogni unità di misura possibile (la febbre, il vento, la magnitudo di un sisma, così come la passione politica) e applicabile a qualsivoglia contenuto. Versatile, indeterminato, pronto all’uso, come molti altri termini del lessico politico contemporaneo, a cominciare da «governabilità». [continua]

Noi italiani neri, Pap Khouma, Castoldi e Dalai

Quali sono, oggi, le aspirazioni e i disagi quotidiani di chi indossa la pelle nera in Italia? Come vivono i nuovi italiani neri, figli di coppie miste, o adottati, o nati da genitori africani residenti da decenni nel nostro Paese? E soprattutto, esiste un problema razzismo in Italia? Come va concepita la nozione di cittadinanza nella nostra società, destinata a essere sempre più multietnica? [continua]

La scuola è di tutti, De MIchele, Minimumfax

Troppi insegnanti, alunni violenti e somari, bidelli scansafatiche, programmi inadeguati... la scuola italiana è davvero in stato di emergenza come sostiene chi vuole salvarla a suon di tagli al personale, rigida disciplina, valutazioni «quantitative» dell'apprendimento? Questo libro, unendo analisi statistiche e strumenti teorici di grande autorevolezza con l'esperienza di chi lavora da anni nelle classi, smonta gli stereotipi e aumenta la prospettiva: il nemico da combattere è una vasta crisi di valori politici e culturali che rischia di rendere la scuola (e la società) sempre più autoritaria. [continua]

Guerra alla terra, Peacereporter, Edizione ambiente

I giornalisti di PeaceReporter raccontano storie di guerra che hanno un movente comune: la contesa per le risorse naturali. Le materie prime servono a produrre beni e servizi utili alla società, ma non sono infinite e nemmeno equamente distribuite. In molti casi le risorse che garantiscono gli elevati standard di vita alla parte ricca e pacifica del mondo si trovano in quella povera e devastata dalle guerre. Nonostante questo, nessuno sembra disposto a pagare il giusto prezzo o a smettere di utilizzarle. [continua]

E' stato morto un ragazzo, Vendemmiati , Libro + dvd

Federico Aldrovandi ha da poco compiuto diciotto anni quando, all’alba del 25 settembre 2005, incontra una pattuglia della polizia nei pressi dell’ippodromo, a Ferrara. Poche ore più tardi la famiglia apprende della sua scomparsa. Fra questi due momenti tante domande e molti silenzi. Il libro ripercorre le vicende umane e giudiziarie legate alla morte di Federico, le ricostruzioni della polizia che parlano di morte per overdose, lo stupore e il dolore di parenti e amici e un’inchiesta giudiziaria inizialmente destinata all’archiviazione. Poi i primi sospetti, il corpo sfigurato del ragazzo, le versioni ufficiali che vengono smentite dalle analisi...[continua]

Non mi uccise la morte, Moretti - Bruno, Castelvecchi

La notte del 15 ottobre del 2009, il giovane geometra Stefano Cucchi viene fermato da una pattuglia dei Carabinieri nei pressi del Parco degli Acquedotti di Roma e trovato in possesso di una piccola quantità di hashish. I militari, dopo aver perquisito l’abitazione di Cucchi, arrestano il ragazzo e lo portano in caserma. Al momento dell’arresto – contrariamente a quanto si è sostenuto – Stefano gode di ottima salute e frequenta quotidianamente un corso di prepugilistica. Il giorno dopo il suo arresto, processato per direttissima nel tribunale di piazzale Clodio, ha il volto segnato ma sta ancora bene. Quello è l’ultimo momento in cui i genitori di Stefano Cucchi hanno la possibilità di vedere loro figlio. [continua]


Palestina Anno zero - conflitti globali 7

Dopo il volume "Israele come paradigma", la nuova uscita di "Conflitti globali" si concentra sull'altro versante di quel conflitto; quello palestinese. A un anno dall'offensiva su Gaza il campo palestinese appare frammentato e diviso come non mai, da frontiere fisiche, check point, muri e colonie che rendono la Cisgiordania una terra in cui è quasi impossibile vivere e muoversi. Gaza, con le sue frontiere sigillate ormai da anni, appare più come un enorme campo di internamento che come territorio di un futuro stato. Le divisioni non sono solo fisiche ma anche politiche: il conflitto tutto palestinese che contrappone Fatah e Hamas - laici e religiosi - crea ulteriori barriere. "Palestina anno zero" si interroga sulle strategie di sopravvivenza che caratterizzano una popolazione da decenni sotto occupazione. Autorevoli studiosi italiani e stranieri, attraverso le voci dei palestinesi, fanno emergere tanto la ricca trama di pratiche di resistenza quanto la frammentazione causata da un'esistenza confinata. [continua]

Piazza d'Italia, Antonio Tabucchi, Feltrinelli

Un borgo toscano nelle paludi, vicino al mare. L'epopea di una famiglia di anarchici, ribelli per temperamento e tradizione: storia di tre generazioni di rivoluzionari dai nomi sintomatici di Garibaldo, Quarto, Volturno, personaggi che partono per viaggi avventurosi e guerre in Europa, Africa, le due Americhe trovando la morte nella lotta contro i padroni. Donne combattive e coraggiose che si affidano anche agli oroscopi e alle fattucchiere. Un mondo contadino, arcaico, ormai scomparso; una fiaba popolare con trovate fantasiose e insieme malinconiche, commosse e profonde, vivaci e gaie, pervasa dal senso della fragilità della vita. [continua]

Londra Zero Zero, Lorenzo Fe, Agenzia X

Cosa sappiamo delle nuove tendenze musicali e culturali della Londra anni zero? Una generazione bastarda si sta conquistando spazi sempre più ampi, ma ancora in pochi se ne sono accorti. Londra zero zero è un documento ricco di materiale introvabile scritto da un giovanissimo talento che si è calato in prima persona nei quartieri di East London, in uno dei laboratori urbani più innovativi al mondo grazie al melting pot etnico, alla frenetica attività artistica e alla sua memoria operaia e cockney. [continua]

Mela marcia, Ngn, Agenzia X

Nata in un garage con la bandiera dei pirati sventolante, creata da un ex hippy e da un hacker, oggi Apple lancia strali contro i software liberi, promuove crociate antiporno e dichiara dissanguanti guerre di brevetti. Sullo sfondo pulsano la guerra dei formati, del web e delle libertà digitali. Apple non è più l’azienda dei creativi che anni fa ci esortava con il Think Different, ma il peggior nemico dell’underground digitale, come dimostra il blitz contro il blogger di Gizmodo che ha realizzato lo scoop dell’anno: le foto in anteprima dell’iPhone 4G. Mela Marcia parte da questa vicenda per sviscerare cosa si nasconde dietro alla mutazione di Apple: la mania della segretezza, l’astuto ruolo del messia laico Steve Jobs, il potere del marketing aggressivo e il bluff dell’iPad. continua]

Carte False, Scardova, VerdeNero

Somalia, 20 marzo 1994: Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 Rai, e il suo operatore Miran Hrovatin vengono uccisi da un commando in una via di Mogadiscio quando stanno per fare ritorno in Italia. Nei giorni precedenti hanno lavorato in uno scenario intricato e pericoloso, in cui agiscono politici somali e italiani, militari e funzionari dell’Onu, servizi segreti e imprese che costruiscono strade, contrabbandieri d’armi e trafficanti di rifiuti tossici.[continua]

Previsioni del tempo, Wu MIng, VerdeNero

Broker di rifiuti, mediatore finanziario, campione di ascetismo edonistico, l'uomo al vertice dell'organizzazione ha un'idea precisa di cosa sia un cattivo maestro. E quello che ti fa vedere chiaramente tutto quello che non si deve fare, tutto quello che non bisogna essere. Sembra un'operazione di routine, ma la strada non può essere anestetizzata: il passato riaffiora. Qualcuno in alto dovrà sporcarsi le mani? Un viaggio lungo mezza Italia, dentro la pancia putrida del paese. [continua]


Nomi, Cognomi e Infami, Giulio Cavalli, VerdeNero

Il libro di Giulio Cavalli non è un libro come gli altri. Nomi, cognomi e infami è il diario impersonale di un anno di storie incrociate in una tournée che è scesa dal palco per diventare la sua storia: quella di un attore di teatro che vive sotto scorta da due anni. È un viaggio nel tempo e nello spazio che accompagna il lettore dall’attentato di via D’Amelio al sorriso di Bruno Caccia, dalle parole di Pippo Fava all’omicidio di don Peppe Diana passando attraverso il coraggio di Peppino Impastato, Rosario Crocetta e i ragazzi di Addiopizzo, fino a svelare la presenza della mafia al Nord che l’autore è stato tra i primi a denunciare. È anche una storia corale dedicata alle 670 persone che oggi nel nostro Paese vivono sotto tutela. [continua]

Io sono Anna Adamolo - Voci e raccconti dall'Onda anomala - Nda

Dall'Onda Anomala nasce Anna Adamolo. Anna Adamolo è la pluralità del movimento contro la Riforma Gelmini, è il rifiuto a giocare con il futuro come se fossimo a una partita di Monopoli, è il grido di un no e la fermezza di tanti sì. Anna Adamolo è un immaginario non domato e non normalizzato, è la volontà di tenere aperto il molteplice e il possibile contro l'arroganza di un pensiero contabile, è il rifiuto di sanare le difficoltà dell'oggi con le miserie di domani. Anna Adamolo è "Noi la crisi non la paghiamo". Anna Adamolo sono le studentesse e gli studenti, le precarie e i precari, le maestre e i maestri, le insegnanti e gli insegnanti, le bambine e i bambini, le mamme e i papà che in questi mesi hanno portato nelle piazze d'Italia una protesta mai vista contro i truffatori del presente e del futuro. [continua]

Libreria Don Durito

CS Cantiere - Milano

28 dicembre 2010

lunedì 3 gennaio 2011

La nuova strategia degli ultrà per cancellare le tessere dei tifosi

Così le curve si coalizzano per far fallire la legge Maroni

di GIULIANO FOSCHINI e PAOLO BERIZZI "Tesserato infame dichiarato". "Abbonato servo dello Stato". Con questi slogan sinistri - una specie di mantra vergato a spray sui muri degli stadi, sugli striscioni esposti in curva, e diffuso sui blog attraverso il passaparola incessante delle tifoserie - gli ultrà italiani hanno dichiarato guerra allo Stato. La loro è una guerra silenziosa. Combattuta, fino a ora, nella penombra. Il tempo della contestazione sembra però scaduto. Nelle curve si parla da settimane di una fase due, di azioni dimostrative e violente. È da leggersi in questo senso la decisione della prefettura di Lecce di far giocare il derby di Puglia, Lecce-Bari a porte chiuse: la paura erano gli scontri tra le due tifoserie. Così come a Milano c'è grande tensione per la partita di mercoledì 6 gennaio (alle 20.30) con il Napoli, con il gruppo organizzato dei Mastiffs pronto a invadere San Siro con e senza tessere. L'obiettivo di questa guerra ultrà è l'abolizione della tessera del tifoso, la "fidelizzazione" del popolo degli stadi introdotta dal ministro degli Interni Roberto Maroni per avere una schedatura precisa degli spettatori che assistono alle partite di calcio: si tratta di un passpartout - contenente i dati anagrafici - obbligatorio per chi vuole vedere la partita in trasferta e per chi ha sottoscritto l'abbonamento per gli incontri casalinghi. Sono circa 600mila quelle sottoscritte. "Un successo" dicono al Viminale, "che porta più sicurezza e più gente allo stadio". Ma non è del tutto vero. Le presenze sono calate quest'anno mediamente di 1.500 unità, circa il 6 per cento. E soprattutto per decine di migliaia di tifosi ribelli la tessera è come se non esistesse: non ce l'hanno, ma loro allo stadio vanno comunque. In casa e in trasferta.

Ma allora che cosa sta succedendo negli stadi dopo il varo della tessera del tifoso? Come è possibile che i tifosi più estremisti riescano a dribblare i divieti imposti dalla schedatura e ad accedere ugualmente agli impianti? Domande che evocano un dubbio fondamentale: visto che i prefetti sono costretti a far giocare le partite a porte chiuse, la tessera del tifoso è fallita?

Come promesso già dalla fine del campionato scorso, e come annunciato quest'estate a colpi di bombe carta dagli ultrà atalantini nell'agguato a Maroni alla Berghem Fest leghista di Alzano Lombardo, la maggior parte degli ultrà italiani stanno boicottando la tessera. Con un unico "cartello" - in grado persino di sotterrare per l'occasione rivalità storiche come addirittura quelle tra Lazio e Roma, Palermo e Catania, Bari e Napoli, Atalanta e Brescia - stanno mettendo in pratica ogni domenica la loro forma di "resistenza" spontanea ma quasi sempre organizzata.

LE REGOLE AGGIRATE
Gli ultrà la tessera non l'hanno fatta. Ma nonostante questo provano - e riescono - a entrare allo stadio tutte le domeniche: comprano i biglietti non di curva e si mischiano nelle tifoserie avversarie. Roma-Milan, partita ad altissimo rischio prima delle feste natalizie, è stata aperta anche a chi non aveva la tessera proprio perché la polizia temeva azioni di violenza da parte degli ultrà giallorossi, se non fossero entrati a San Siro. D'accordo con le altre tifoserie, inoltre, i gruppi organizzati hanno cominciato un'attività "deterrente". Nel lessico curvaiolo deterrenza sta per botte. Anche chi ha la tessera, non deve andare nel settore ospiti. Deve andare in altri settori e mischiarsi con i tifosi di casa. "Devono avere paura" dicono. Ecco alcuni esempi di trasferte "in contromano". Ottocento genoani a Udine; 200 bresciani a Lecce; 500 doriani a Torino; 100 fiorentini a Genova; 500 juventini a Milano; 700 novaresi a Torino; 100 padovani a Siena; 300 carrarini a Poggibonsi; 400 cesenati a Roma; bolognesi e parmensi all'esterno dello stadio Cibali di Catania; 50 udinesi e 50 leccesi a Milano.

Fino a oggi gli ultrà hanno scelto quella che i capi tifoseria chiamano linea "soft". Ma ora - ammette uno dei leader riconosciuti dell'ala più dura della tifoseria del Napoli - non "garantiamo più che allo stadio non accada nulla". Non si tratta di un generico manifesto politico. Si tratta di un piano ben organizzato a tavolino, tra luglio e settembre, quando oltre 60 tifoserie si sono riunite prima a Catania e poi in provincia di Roma. Unico obiettivo dei due incontri: far fallire la tessera del tifoso. Per aggirare i paletti imposti dalle Prefetture e dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, gli ultrà acquistano, anche con largo anticipo, biglietti di altri settori. "Ognuno si organizza come vuole - spiega Claudio Galimberti detto "Bocia", capo degli ultrà della curva Nord atalantina sottoposto a Daspo - si parte in trasferta con mezzi propri e si acquistano biglietti di altri settori. Per questo spesso ci si trova in mezzo ai tifosi avversari. È una situazione molto delicata".

Una situazione che preoccupa anche gli analisti. "I problemi ci sono" ammette Maurizio Marinelli, direttore del centro studi sulla sicurezza pubblica della polizia di Stato, uno dei massimi esperti in Italia di ultrà e di ordine pubblico negli stadi. "L'allarme arriva dal fatto che sempre più spesso ci troviamo di fronte a tifosi senza tessera che, in trasferta, comprano i biglietti e si schierano in mezzo ai tifosi di casa, con altro rischio scontri. Per il momento è andato tutto abbastanza liscio, ma qualcosa bisognerà fare". Cosa? "Primo: fino a oggi, e in certi casi ancora oggi, vedi i serbi a Genova, gli ultrà venivano concentrati in un settore. Questo li rendeva più forti poiché compatti. Se invece questa forza della massa la spezzetti, la sparpagli, si frammenta, diventa più debole e più controllabile da parte di stewart e forze dell'ordine. Secondo: le curve sono cambiate. Tra Daspo e arresti c'è stato un ricambio dei capi. Le figure di riferimento che c'erano prima oggi non ci sono più. È tutto più liquido, più confuso. Terzo: se non ammoderniamo gli stadi, se non li facciamo più piccoli, più sicuri e di proprietà dei club, non abbiamo fatto niente".

COME CAMBIA LA GEOGRAFIA DEL TIFO
Come sta cambiando il mondo ultrà? E con quali conseguenze? Le prove che la strategia sta sconvolgendo (pericolosamente) le abitudini dei tifosi, aggiornando la geografia del tifo, gli spostamenti, i viaggi, gli orari, la composizione dei settori, si stanno moltiplicando domenica dopo domenica. Per capire la portata del fenomeno basta guardare i settori ospiti, quelli appannaggio di chi ha la tessera, in una qualsiasi partita di serie A. La Lega calcio dice di non essere in possesso di dati ufficiali sulle presenze dei supporter che seguono la propria squadra in trasferta. Ma ci sono esempi eloquenti. Durante Bari-Cagliari nello spicchio dello stadio San Nicola riservato ai tifosi sardi c'era un solo spettatore. E una decina di steward attorno per controllarlo. In compenso un folto gruppo di ultrà cagliaritani faceva capolino in gradinata in mezzo ai baresi. Alzando il livello di tensione di una partita considerata "tranquilla".

Quando i baresi sono andati a Napoli al seguito del Bari - nel caldissimo derby del Sud (12 settembre), solitamente ad alto rischio incidenti - fuori dai cancelli del settore ospiti si sono trovati, alleati, i capibastone delle due tifoserie. Hanno ricevuto un brusco stop al grido di "chi entra prende un sacco di botte". Risultato: settore ospiti deserto. "I ragazzi hanno capito i motivi della nostra protesta e si comportano di conseguenza, non c'è stato bisogno di esagerare - racconta Alberto Savarese, "Il Parigino", uno dei responsabili della Nord barese insieme con Roberto Sblendorio, "Robertino" - In ogni caso noi non abbiamo obbligato nessuno a non sottoscrivere la tessera: capiamo che molti hanno fatto l'abbonamento, e quindi la card, per una ragione economica. Ma ci fa piacere che in trasferta, anche chi potrebbe andare nel settore ospiti, preferisce venire con noi". L'A. S. Bari ha richiesto alla Lega 16.700 tessere, ottenendone duemila circa nelle ultime settimane, proprio in vista del derby con il Lecce. A Milano, però, nella gara contro l'Inter (22 settembre), gli ultrà pugliesi non hanno comprato di proposito i biglietti "ospiti" ma quelli del terzo anello rosso. Sono saliti in gradinata, hanno cacciato gli abbonati dai loro posti e si sono seduti a fianco ai tifosi dell'Inter. Non è stata l'unica partita nella quale due tifoserie avversarie sono entrate in contatto. A Genova per Sampdoria-Napoli (19 settembre) c'erano solo una ventina di supporter napoletani nella "gabbia nord", il settore ospiti, mentre il gruppo più numeroso ha preso posto nei distinti, diviso dai sampdoriani da qualche stewart. Al gol vittoria del Napoli, gli ultrà hanno acceso un fumogeno e si è sfiorata la rissa. Raggruppamenti estemporanei, e ad alto rischio, anche in occasione di Milan-Genoa (25 settembre) allo stadio di San Siro. Partita tradizionalmente blindata. Un manipolo di ultrà genoani si è piazzato in mezzo ai tifosi del Milan al terzo anello rosso. All'inizio del secondo tempo i tifosi ospiti hanno tirato un petardo nelle file sotto: fuggi fuggi dei milanisti e forze dell'ordine in allarme. A Lecce, il 24 ottobre, sono volati pugni tra i bresciani e i salentini. A Bergamo, invece, l'Atalanta ha fatto il record di abbonamenti per la serie B (oltre 17mila) nonostante la retrocessione dell'anno scorso. Ma gli ultrà sono stati di parola: niente tessera e niente abbonamento. Ad Atalanta-Torino (10 ottobre) sono arrivati 70 ultrà torinesi che avevano acquistato - volutamente - biglietti di tribuna (la trasferta era vietata, ticket in vendita solo per residenti in Lombardia) ma che per evitare prevedibili disordini sono stati sistemati nel settore ospiti: il fallimento pratico della tessera. Non solo: le forze dell'ordine in assetto antiguerriglia sono state impegnate fino a mezzanotte e mezza per scortare un corteo di quindici auto.

LE INTIMIDAZIONI NELLE CITTÀ
Quali sono i "laboratori" della protesta? Chi studia i piani per affondare la card del tifoso? Fino a oggi i supporter del Napoli sono stati tra i più intransigenti. Campagne capillari in tutti i quartieri della città con la scritta "Non abbonarti, non tesserarti". Lo zoccolo duro della tifoseria non ha sottoscritto la tessera anche perché molti non avrebbero potuto a causa del famoso articolo 9 del regolamento, che la vieta a chi ha auto un Daspo - il provvedimento di allontanamento dagli stadi per disordini - negli ultimi cinque anni. "È anticostituzionale", dicono gli ultrà per sostenere la loro causa.

Ma tant'è. A Napoli qualcuno ha provato a bluffare. La procura (che ha creato un apposito pool di magistrati sui reati da stadio) ha avviato un'indagine conoscitiva partendo dal sito del tifo organizzato biancoazzurro dove erano state pubblicate tutte le procedure per falsificare la card. Fatti salvi i tarocchi, dunque, le tessere sottoscritte sono pochissime: meno di 15mila, su una media in questa stagione di circa 39mila spettatori a partita. "Abbiamo fatto un'opera di convincimento sui nostri ragazzi" dice uno dei capi della dei gruppi che dominano nella curva A. Chi frequenta il San Paolo, e i detective che si occupano dei teppisti, hanno ancora in mente i pestaggi di fine campionato scorso, proprio durante una protesta, in quel caso contro la società: le telecamere della Digos ripresero alcuni personaggi intenti a convincere altri tifosi, con pugni e calci, a lasciare la curva vuota come prevedeva la protesta.

Un mondo a se stante, quello delle cupole del tifo. Quattrocentocinquanta gruppi ultrà di cui 234 politicizzati: 61 (nel 2008 erano 58) hanno forti legami con movimenti di estrema destra e 28 sono vicini a formazioni radicali di sinistra. I più pericolosi sono i Bisl romanisti, I Mastiff del Napoli, la Banda Noantri della Lazio, le Brigate autonome livornesi, i Korps della Fiorentina, gli Irriducibili dell'Inter, i Drunks del Catania. Gli ultimi allarmi lanciati dal Viminale riguardano la contiguità delle tifoserie di Roma e Lazio con i gruppi di estrema destra, la vicinanza di alcuni gruppi di Napoli e Catania con la criminalità organizzata, l'estremismo razzista di diverse tifoserie del nord, Inter e Verona su tutte. Ma adesso c'è un nuovo allarme.

La complicata evoluzione dell'era-tessera del tifoso è seguita da vicino dall'osservatorio del ministero degli Interni, dalle questure di tutta Italia (molte hanno costituito un'apposita squadra - stadio) e anche dai servizi segreti. Nell'ultimo rapporto consegnato al Parlamento, la nostra intelligence ha ribadito la "contiguità tra frange di tifo organizzato e estremismo politico". Una saldatura caratterizzata da una "forte avversione nei confronti delle forze dell'ordine" che "in alcuni casi lascia ipotizzare anche disegni preordinati". Come dichiarare guerra allo Stato.

tratto da repubblica.it ( http://www.repubblica.it/cronaca/2010/12/31/news/ultra_contro_tessere_tifosi-10730400/ )

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