lunedì 28 febbraio 2011

Chiudere i C.I.E, non chiudere gli occhi.


In un’intervista al Tg di qualche giorno fa, un marinaio disse “ce ne stiamo qui a presidiare il porto, potrebbero rubare le nostre barche per organizzare i viaggi. Qui arrivano con gli elicotteri e in inglese ci chiedono di vendergli le barche. A me hanno offerto 35000 euro.”

Chi arriva con l’elicottero? Chi ruba le barche?

Colui che offre l’ambito sogno di libertà, autodeterminazione, soldi facili e bella vita. Vorrei vedere chi non lo inseguirebbe, magari dopo una vita d’oppressione e repressione, dopo aver lottato a lungo per una vita migliore, dopo che qualcuno t’ha mostrato un latente stile di vita fatto di felicità ed egoismo?!

Così paghi e speri di arrivare presto, di non morire di fame, di sete o annegato, di trovarti accolto ed inserito una volta raggiunta la terra ferma di là, oltre il mare. Tu scappi da un paese che non ti considera essere umano(una merda) per tentar di rifugiarti in un paese che continuerà a considerarti una non persona (merda), ma nel mezzo c’è la tragedia (merda) vera e propria.

C’è la Fortezza Europa, che con i suoi confini inespugnabili, annuncia e denuncia “l’attacco dal mare”, schiera i suoi migliori cecchini, alza il ponte levatoio e versa olio bollente sui suoi “attaccanti”.

Sorvegliamo e schediamo barchette in acque internazionali (dicendo che li assistiamo e li aiutiamo a portarli a riva), li fotografiamo, impietosiamo l’opinione pubblica con foto di bambini e donne incinta (quale mostro ha permesso che salissero su quelle barche?dicono ai Tg), li rinchiudiamo nei nostri lager e lì li lasciamo marcire in attesa del prossimo volo per casa loro.

Ma quali lager? Dirà qualcuno.. voi politici e giornalisti chiamateli pure C.I.E, C.A.R.A, VILLAGGIO della SOLIDARIETA’, io continuerò a chiamarli lager. Non potete chiamarlo centro d’accoglienza quando per definizione sono centri d’identificazione ed espulsione.

Nei C.I.E lavorano Croce Rossa, Polizia, Carabinieri, Preti ed eroi di un’Italia che stupra, violenta, seda i detenuti con psicofarmaci a qualunque ora del giorno senza prescrizione o visita medica,che offre loro cibo scaduto o intriso di benzodiazepine(tutti casi pubblicamente denunciati), non ci sono diritti e l’unico dovere che hanno i reclusi è assistere in silenzio al ritorno a casa dopo mesi trascorsi in una cella solo perché non hanno quel maledetto pezzo di carta che parla di loro.

Il tutto in tacito assenso, con ingenti finanziamenti pubblici, retto da commoventi immagini del politico di turno.

Oggi che questi lager scoppiano, che sempre più migranti attraccano sulle sponde di quest’Italia marcia, se ne sente parlare: la situazione è sfuggita di mano, mentre eravamo tutti intenti a seguire le scappatelle del Premier e l’eterno Festival di Sanremo, non ci siamo accorti che di là del mare scoppiava la rivolta.

Le dittature pesano, soffocano, la mancanza di lavoro, la precarietà e la povertà sociale han raggiunto livelli insostenibili, ci si autorganizza, si scende in piazza, si grida. La collera si espande e svela ad ognuno il destino comune di miseria ed oppressione. Ci si organizza , forse è arrivato il momento, è possibile realizzare l'impossibile: mandare tutti via, Raiss, sbirri e apparati istituzionali che per decenni hanno solo gestito la povertà per garantire la ricchezza e gli interessi di pochi con carcere, tortura e censura per tutti, si lanciano pietre contro coloro che han sempre tenuto il grilletto puntato contro di te, soprattutto adesso che quel grilletto l’han premuto e bombardato con i Caccia. In meno di due mesi dall’inizio delle rivolte nel bacino sud-est del mediterraneo le vittime superano il migliaio e qualcuno di loro tenta la fuga, verso il “nuovo sole”.

“E’ emergenza!”gridano, così tutte le belle facce da Parlamento. L’emergenza è infinita, l’emergenza è il nuovo sistema di governo dei flussi migratori, assimilati a catastrofi e fenomeni naturali: “è come il terremoto in Abruzzo” - annuncia da subito Maroni - quindi spazio alla protezione civile, alla riapertura del C.I.E di Lampedusa, ai poteri speciali, a un contingente di 200 soldati e a un nuovo ruolo, operativo, di Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere. Tutti si appellano a Lui, il Dio Denaro, re indiscusso della Fortezza Europa, chiedono consigli, ma ancor prima interventi. Il Buon re offre subito loro una mano: il suo esercito più forte difenderà il castello. Frontex scende in campo. Schiera i suoi militari, i suoi migliori aguzzini, mette a disposizione parte della sua flotta e due aerei. Più nessuno tenterà di attaccarci di nuovo: l’Italia è salva, l’Europa pure.

Chi già è dentro dopo un po’ di tortura tornerà a casa, magari non la sua perché l’aereo non lo porterà di certo al suo paese.

E noi vivremo felici e contenti.. sembra solo una bella storia.

Immigrati non lasciateci soli con gli italiani, alla vostra rivolta la nostra solidarietà.

(FRONTEX Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, ha il compito di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne; assistere gli Stati membri nella formazione di guardie nazionali di confine, anche elaborando norme comuni in materia di formazione; preparare analisi dei rischi; seguire l’evoluzione delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne; aiutare gli Stati membri che devono affrontare circostanze tali da richiedere un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne; fornire agli Stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte. Fonte www. europa.eu)


Csa Germinal Cimarelli

TRIANGOLARE DI CALCIO PER LA BASELL





Un anno di lotte ed il risultato massimo raggiunto è stata qualche arrogante dichiarazione di dirigenti o proprietari delle aziende del polo chimico Ternano che si sono abbattute come frustate sulle maestranze dello stesso, lavoratori e relative famiglie che stanno vivendo un drammatico periodo di totale incertezza.

Come troppo spesso accade, la dignità dei lavoratori viene sacrificata senza il benché minimo scrupolo sull' altare... del profitto e della strafottenza del potere.

Le prospettive delle aziende chimiche Ternane sono sempre più avvolte nel buio.

Per questi motivi e soprattutto per sensibilizzare istituzioni locali e nazionali, e tutti coloro che in questa vicenda hanno voce in capitolo affinché favoriscano quantomeno il passaggio di proprietà a chi ha presentato progetti industriali affidabili, che A.S.D Primidellastrada ha organizzato un triangolare di calcio allo stadio L.Liberati che vedrà protagonisti i ragazzi dell' associazione, i lavoratori del polo chimico e la Ternana calcio.

L' evento si svolgerà sabato 05/marzo/2011 alle ore 14,30, con partite di trenta minuti ciascuna. Verranno aperte: per il pubblico i distinti B, per l'informazione i distinti A e relativa tribuna stampa.

Ai cancelli dei distinti B saranno presenti degli incaricati per raccogliere offerte che verranno poi messe a disposizione delle maestranze del polo chimico Ternano.

Un piccolo contributo per finanziare il proseguo della lotta.

Invitiamo i cittadini di partecipare numerosi, così come le istituzioni e tutte le parti interessate, in modo da far sentire la vicinanza e la solidarietà a chi in questo momento vive con il terrore di perdere in modo vergognoso il proprio posto di lavoro.

In proposito verrà indetta una conferenza stampa di cui renderemo noti data e orari all' inizio della settimana prossima.


A.S.D. Primidellastrada
http://associazioneprimidellastrada.blogspot.com/

Cuneo antifascista: scontri tra antifa e militanti di Casa Pound

cuneo_casapoundE' iniziata nella piazzetta del municipio la giornata antifascista cuneese di ieri pomeriggio, con pochi interventi strutturati (dell'amministrazione comunale) e un pò di musica. In piazza più di 200 persone, molti giovani, alcuni partigiani e famiglie.

Terminata la serie di interventi a cui non sono mancate contestazioni, un centinaio di giovani si è compattato e è partiti in direzione di Via Alba dove i militanti di Casa Pound stavano inaugurando la loro sede già danneggiata nella notte.

Dopo aver imboccato Contrada Mondovì i manifestati hanno trovato la Guardia di Finanza che bloccava l'accesso di Via Alba con una volante: sono partiti i primi lanci di gavettoni e fumogeni. Il corteo si è così spostato, aggirando il blocco, sul lato opposto dell'isolato all'incrocio tra Via Diaz e Via Alba riuscendo ad arrivare alla sede di Cpi presidiata da alcuni poliziotti: subito sono partiti lanci di porfido, bottiglie e immondizia, azione che ha trovato anche la solidarietà dei passanti.

I militanti di Cpi dopo essersi stretti nell'entrata della sede sono usciti con mazze e caschi rispondendo con alcuni lanci di pietre trincerati dietro a polizia, carabinieri e cassonetti. Dopo più di mezz'ora di tensioni tutto è terminato con un sit-in antifascista. Cinque carabinieri feriti e un giovane di Casa Pound colpito al capo da un sampietrino, questo è il bilancio della calda e storica accoglienza cuneese ai fascisti di Casa Pound.

tratto da www.infoaut.org

27 febbraio 2011

martedì 22 febbraio 2011

Valerio vive, un’idea non muore!


http://www.repubblica.it/cronaca/2011/02/22/news/omicidio_verbano_si_riapre_il_caso_dopo_31_anni_due_nomi_e_la_pista_nera-12751390/

Delitto Verbano, si riapre il caso
Dopo 31 anni due nomi e la pista nera

Lo studente di sinistra du ucciso in casa da un commando vicino ai Nar. Nell’archivio del ragazzo i nomi degli indiziati: militanti di destra, avevano già colpito. Il primo uomo vive da tempo all’estero, il secondo è un insospettabile professionistadi CARLO BONINI

ROMA – L’omicidio di Valerio Verbano è un caso che si riapre. E la fuga di almeno due dei suoi tre carnefici, forse sta per finire. Consegnando innanzitutto a chi è stata condannata a sopravvivere a quel lutto – Carla Zappelli, 87 anni, la madre di Verbano, suo unico figlio – una “verità” in grado di chiudere una delle più simboliche, disumane e insolute pagine di sangue della storia della violenza politica del nostro Paese. A trentuno anni esatti dall’esecuzione del diciannovenne militante della sinistra extraparlamentare (22 febbraio 1980) e dal buio che da allora ne ha avvolto le responsabilità, prende corpo una nuova indagine della procura di Roma (procuratore aggiunto Pietro Saviotti, pm Erminio Amelio) e del Ros dei carabinieri che, dopo ventiquattro mesi di lavoro, colloca al centro della scena del crimine almeno due nuovi indiziati.

LE FOTO 1

Per quel che al momento è possibile ricostruire, due uomini oggi sulla cinquantina, la stessa età che avrebbe avuto la loro vittima se non la avessero giustiziata con un colpo di 38 special alla schiena. Il primo, riparato da tempo all’estero. L’altro, insospettabile professionista con una vita in Italia. Entrambi, già militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo e – almeno a stare all’ipotesi investigativa – costituiti in un gruppo di fuoco

deciso, nel febbraio di quel maledetto 1980, ad accreditarsi, con un cadavere di forte valore simbolico come quello di Valerio Verbano, agli occhi dei neofascisti Nuclei armati rivoluzionari di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.

Degli indiziati (per altro, al momento, non ancora indagati), esistono dei nuovi identikit (aggiornati rispetto a quelli che vennero disegnati durante le prime indagini) ed è stata pazientemente ricostruita la loro storia di militanza violenta in quel triangolo dell’odio politico che, a Roma, tra la fine dei ‘70 e l’80, erano diventati i quartieri Trieste-Salario, Talenti, Montesacro. Tra il ‘76 e l’83 sono nove infatti gli omicidi di matrice politica che hanno come teatro questo quadrante della città. Muoiono Vittorio Occorsio, magistrato; Stefano Cecchetti, studente; Francesco Cecchin, studente; Valerio Verbano; Angelo Mancia, fattorino; Franco Evangelista, poliziotto; Mario Amato, magistrato; Luca Perucci, studente; Paolo Di Nella, studente. In una geografia della violenza che si contende il controllo di marciapiedi, bar, angoli di strada e ha come linee di confine tra “neri” e “rossi”, il fiume Aniene e il ponte delle Valli. Che risponde alla logica draconiana del “colpo su colpo”, per usare la definizione utilizzata nelle corti d’assise che giudicheranno a metà anni ‘80 quei fatti di sangue. Secondo la quale, la morte di un “compagno” va lavata con il sangue di un “camerata” e viceversa.

A sparare sono soprattutto e innanzitutto i neofascisti dei Nar e di Terza posizione. I killer delle “volanti rosse”. Ma non solo. Gli assassini di Verbano – se la Procura e il Ros hanno colto nel segno – in questo contesto, di cui pure fanno parte a pieno titolo e di cui respirano l’aria, non sono infatti incardinati con un’organizzazione militare e politica riconoscibile (anche per questo, le indagini sull’omicidio, che, per 9 anni, concentreranno i loro sospetti su appartenenti alle due sigle del neofascismo assassino, Nar e Terza posizione, si chiuderanno nell’89 con un’archiviazione “per essere ignoti gli autori del reato”).

Gli assassini di Verbano sono dei violenti “cani sciolti” che si muovono in quell’area nera di “spontaneismo armato” che fa da corona ai Nar, cercandone la cooptazione. E scelgono la loro vittima con criterio. Perché la loro vittima conosce loro. Sa chi sono. Dove e come si muovono. Valerio Verbano – come oggi ha potuto accertare il Ros lavorando sui nuovi indiziati – ha infatti annotato i nomi dei suoi assassini nel mastodontico schedario che custodisce nella sua casa di via Monte Bianco 114 (e che in casa verrà ritrovato dagli inquirenti dopo l’omicidio). Centinaia di brevi report con cui, dal 1977, con metodica ossessione, ha dato un’identità e un volto, talvolta anche fotografico, ai militanti di destra del triangolo Trieste-Salario, Talenti, Montesacro.

Valerio Verbano non è una prima volta per i suoi assassini. Avevano sparato per uccidere undici mesi prima, la mattina del 30 marzo del 1979. Almeno di questo è convinto chi oggi si è rimesso a indagare. In una casa al civico 12 di via Valpolicella (nemmeno due chilometri in linea d’aria dall’abitazione di Verbano), dove cercavano Roberto Ugolini, altro militante della sinistra extraparlamentare. Anche quel giorno erano in tre. Anche quel giorno si fecero aprire la porta di casa dalla madre del ragazzo presentandosi come amici del figlio. Roberto Ugolini fu rapido a comprendere e a sottrarsi all’esecuzione. Uno dei tre fece fuoco riuscendo a colpirlo soltanto alle gambe. Erano a volto scoperto e loro descrizioni sono sovrapponibili a quelle degli assassini di Verbano. Un dettaglio, una ricorrenza. Sfuggito allora. E che ora potrebbe diventare cruciale.

(22 febbraio 2011)

Tessera del tifoso: intervista all'avvocato Lorenzo Contucci

Avvocato, per la prossima stagione si vuole limitare le trasferte ai soli tesserati, è possibile?

“Dovrebbero ritenere a rischio tutte le centinaia di partite che nei fine settimana vengono giocate ma in base a cosa? Fai altuna legge dove ritieni potenzialmente a rischio ogni gara? Non vedo come sia possibile”.

La sensazione è che il progetto Tessera del Tifoso non sia stato gestito adeguatamente.

“Loro pensavano di risolvere ogni problema di “sicurezza”. Hanno fatto leva sul tifoso che segue in casa la squadra e che ha sottoscritto la tessera per aver l'abbonamento, non pensando che la grande maggioranza di coloro che la squadra la seguono anche in trasferta, avrebbero detto no. Si sono trovati di fronte a un movimento numeroso e colorato che ha di fatto messo in “crisi”, il sistema della tessera, tanto che i questori talvolta prendono decisioni autonome per “sistemare” i tifosi in trasferta. La sensazione è che il giocattolo gli sia scoppiato tra le mani e che navighino a vista”.

Dei famosi vantaggi per i tesserati, promessi e ripromessi non si vede traccia?

“Perchè è stata una sorta di “imposizione” per le società di calcio. Non erano e non sono preparati a una strategia di marketing”.

La sensazione però è che le società, tessera o non tessera, guardano solo alle pay-tv mentre non c'è rispetto per i tifosi

“E' vero, e il duopolio Mediaset-Sky, i tanti abbonati in più, porteranno di riflesso più soldi nelle casse delle società ma quanto può continuare questo giochino?”

A Udine cinema allo stadio, a Torino sponda Juve e presto a Firenze leCheerleaders, più che il modello inglese un vero e proprio modello americano

“Senza dubbio, si guarda sicuramente a un modello che culturalmente non ci appartiene e niente ha a che vedere con il calcio”.

E sul comunicato della curva maratona puoi darci delle delucidazioni? Cosa sta accadendo quindi?

“Esattamente quello che avevo segnalato qualche anno fa: si tratta del famigerato ed incostituzionale articolo 9 della legge Amato, che vieta a chiunque abbia avuto un daspo o una condanna per reati da stadio di acquistare biglietti.
Maroni - a voce - ha interpretato l'art. 9 dicendo che i biglietti non vengono rilasciati a chi ha daspo in corso e a chi ha avuto condanne per reati da stadio negli ultimi 5 anni, anche se poi l'art. 9 dice tutt'altro.
E' stata creata una "black list" nella quale sono inseriti i nominativi di coloro che sono sottoposti a daspo ed anche le condanne ricevute: poi, se la Questura segue le direttive di Maroni, non verranno rilasciati biglietti a chi ha avuto condanne "da stadio" negli ultimi 5 anni (anche se per lo stesso episodio si è già scontato il daspo!), se seguono la legge, chi ha avuto una condanna da stadio, anche nel 1990, non potrà più avere biglietti.
La proposta di modifica della norma che avevo fatto era quella per cui non potesse avere un biglietto chi ha un daspo in corso e chi ha avuto condanne "da stadio" negli ultimi 5 anni purché per lo stesso episodio non abbia già scontato il daspo: se il mio daspo è finito, vuol dire che per la stessa questura non sono più pericoloso e quindi perché non posso andare allo stadio?
Tuttavia è difficile far passare concetti così semplici in un Regime tutto incentrato su come far più soldi e autoassolversi in caso di reati.”

La rivolta di Tripoli affonda la borsa italiana e rischia di abbattere Berlusconi

Tripoli-Roma, gli effetti di un folle matrimonio

Eni, Unicredit e Impregilo trascinano Piazza Affari nel baratro. Il mercato italiano paga più di tutti le relazioni con il dittatore libico

berlusconi-gheddafiIl motivo principale, fino a smentita, per cui il governo italiano tentennae non critica apertamente l'operato di Gheddafi in questa ultima settimana è rintracciabile nei listini della Borsa di Milano.
PeaceReporter si è interrogata in questi giorni sulla natura ordinaria dei bollettini emanati dalla Farnesina. La risposta è arrivata stamattina: non appena il ministero degli Esteri italiani ha lanciato l'avviso di emergenza, sconsigliando i viaggi in Libia "a qualsiasi titolo" e le mega aziende italiane hanno richiamato in Italia i dipendenti e i loro famigliari, la Borsa di Milano è andata a picco trascinata dai titoli di Eni (- 5,01), Saipem (- 4,06), Finmeccanica (- 2,37), Impregilo (- 6,09), Astaldi (- 4,65) e Unicredit (- 6,09)*.
È una conseguenza tutta italiana e lo si capisce confrontando i 3,59 punti percentuali lasciati sul terreno dalla Borsa di Milano. Anche i mercati europei sono in calo ma, come spiegato a PeaceReporter da un trader finanziario, si tratta di una flessione fisiologica: Francoforte perde l'1,41; Parigi l'1,47; Londra solo 1,05. Andando nei confronti di settore, in quello energetico la francese Total lascia l'1,80 (a fronte del 5 per cento di Eni) e la Bnp Paribas l'1,94 (contro il 6 per cento di Unicredit).
L'Italia è il paese europeo più esposto nei confronti della Libia. Tripoli si è infiltrata nelle trame della finanza e dell'economia italiana grazie a patti scellerati mediati dalla politica: la Banca centrale libica (Cbl) e il fondo sovrano Lybian Investment Authority(Lia) possiedono il 6,5 per cento dei titoli Unicredit - il che rende Tripoli il principale azionista dell'istituto di credito. La vice presidenza di Unicredit occupata da Farhat Bengdara - presidente della Cbl - la dice lunga sul peso libico all'interno della banca. Il gigante energetico Eni è il primo investitore straniero in Libia: dai giacimenti petroliferi libici dipende il 12,5 per cento della produzione totale del gruppo e l'ad Paolo Scaroni ha recentemente annunciato investimenti per 25 miliardi di euro. Impregilo ha firmato contratti per il valore di un miliardo di euro. Il fondo Lia ha partecipazioni nel capitale di Finmeccanica pari al 2 per cento.
Adesso gli investitori sono preoccupati e gli altri azionisti, quelli importanti, hanno paura. Perché sanno che Gheddafi lotterà "fino all'ultima pallottola", che prima di affondare darà fuoco ai pozzi petroliferi.
L'Italia ha accolto il Colonnello Gheddafi arrivato con i suoi forzieri, come il salvatore dell'economia italiana. È comprensibile, allora, che Frattini vesta i panni di "ambasciatore libico" a Bruxelles - dove invita i suoi omologhi a non interferire nella rivolta in atto - e al telefono con il Segretario di Stato Usa Hillary Rodham Clinton, aggiornandola sui tentativi di mediazione del governo libico con i rivoltosi della Cirenaica. È comprensibile che l'onorevole Fabrizio Cicchito inviti alla moderazione e al "senso di equilibrio" che - lo ripetiamo - sarebbe stato più utile quando si sceglieva Gheddafi come partner strategico. È comprensibile che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - che pure, scavando nelle scatole finanziarie, ha degli interessi privati in Libia - non intenda "disturbare" il Colonnello.
Non è più tempo di parlare solo alla pancia degli italiani: sarebbe comprensibile, ma anche auspicabile, che le opposizioni - da Pierluigi Bersani ad Antonio di Pietro, fino a Futuro e Libertà - chiedano conto e dimissioni del governo non per le notti di Arcore e le cortigiane, ma per il ruolo di sensali che Berlusconi&Co hanno avuto in questo folle matrimonio.

Nicola Sessa
21 febbraio 2011

venerdì 18 febbraio 2011

Valerio Verbano. Ucciso da chi, come, perché ·


L'uccisione di Valerio Verbano non è un mistero. E' diventata tale solo per l'assenza di indagini vere, accurate, decise. Questo libro è un “processo indiziario” che copre abbondantemente quella assenza. Attraverso l'analisi di interrogatori, verbali, sentenze, documenti e libri prodotti dai neofascisti, ricostruisce e radiografa tutto quel che si mosse a destra tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80. Connette gruppi, figure, mitologie; fa luce sul proliferare di sigle sempre nuove e rivendicazioni multiple ideate per depistare, creare confusione, mimetizzarsi e cercare di parificare destra e sinistra. Compone i pezzi di un puzzle e alla fine qualcosa si capisce: ci sono individui, armi, identikit, formule retoriche che ritornano. Un cumulo di indizi che fanno chiarezza sulla morte di Valerio, ucciso il 22 febbraio 1980 nella sua abitazione, davanti ai suoi genitori legati e imbavagliati.

La prima presentazione del libro avverrà sabato 19 febbraio, alle ore 18, nella Palestra Popolare Valerio Verbano. Ne discuteranno con il pubblico Carla Verbano, l'autore Valerio Lazzaretti, Sante Notarnicola e l'editore.

Fonte: Il pane e le Rose


Bahrain Libia: collera continua!

manifestazione dei medici in BahrainAttaccato violentemente nel cuore della notte il presidio permanente alla Pearl Roundabout: alle h. 3.00 i cecchini della polizia posizionati sul ponte autostradale antistante hanno bersagliato di lacrimogeni e pallottole le tende dei manifestanti, caricato e disperso i presenti e bloccato tutti gli accessi alla rotonda; si registrano una sessantina di desaparecidos (per raccogliere informazioni sui quali è stato creato un gruppo su Facebook), mentre altri reparti hanno effettuato raid nei villaggi attorno a Manama alla ricerca di attivisti dell'opposizione.

l bilancio provvisorio dell'assalto è di cinque morti e trecento feriti, di cui la gran parte ricoverata all'ospedale Salmaniya, divenuto rapidamente un nuovo punto di ricompattamento degli insorti ed un hashtag di twitter su cui far partire la catena della solidarietà e della cooperazione - con richieste di donazioni di sangue ed appelli a continuare la lotta da parte dei parenti e dei compagni delle vittime della repressione. Neppure il personale medico ed infermieristico è stato risparmiato dalla furia mercenaria degli sgherri della monarchia: è stato impedito alle ambulanze di avvicinarsi alla Pearl Roundabout ed i dottori lì presenti e quelli accorsi sono stati picchiati con tanta violenza da dover ricorrere alle cure mediche essi stessi; mentre a quelli rimasti in ospedale è stato intimato dalle autorità di negare i soccorsi ai feriti in arrivo. Al che la rabbia e l'esasperazione dei medici è sfociata in surreali cortei nelle sale e nei corridoi ospedalieri e cordoni nelle strade assieme agli altri manifestanti, reclamanti il diritto alla salute e le dimissioni immediate del Ministro della Sanità.

Un'escalation di tensione che preoccupa gli Stati Uniti (che vedono saltare il paese caposaldo del loro dominio nel Golfo - all'imbocco dei porti petroliferi iracheni, kuwaitiani e sauditi, in grado di monitorare l'Iran e rifornire rapidamente le monarchie alleate della penisola arabica), i mercati finanziari (nei giorni scorsi l'asta di rifinanziamento del debito del Bahrain è stata disertata, mentre le proteste hanno provocato le più alte chiusure del Brent sul petrolio dal 2008) ed il management dei grandi eventi globali - venendo messa a repentaglio la gara inaugurale del campionato del mondo di Formula 1 prevista tra meno di un mese; dall'altra parte, a portare solidarietà dal basso ai rivoltosi si sono registrati presidi spontanei presso le ambasciate del Bahrain, al Cairo ed in altre capitali.

Infuria anche la battaglia mediatica; dopo averle evocate per giorni, oggi per la prima volta la tv di stato ha rilasciato immagini di presunte armi in possesso dei dimostranti, mentre già da tempo circolano in rete foto di gusci di lacrimogeni - prodotti dall'americana Nonlethal Technologies - impiegati nelle operazioni di polizia; nel pomeriggio un giornalista di Sky News ha riferito dell'internamento di reporter stranieri presso l'aeroporto internazionale, le cui foto e videocamere stanno venendo confiscate dalla polizia - come accaduto al reporter dell'ABC Miguel Marquez, aggredito e minacciato la scorsa notte alla Pearl Roundabout.

Ma con le immagini ed i racconti agghiaccianti dei rastrellamenti e delle esecuzioni sommarie che trapelano dalla rete, qualcosa sembra essersi irrimediabilmente incrinato. E nel sentimento comune come sulle bacheche dei social network le parole del compromesso si fanno sempre più rare: mentre nei primissimi giorni della protesta le rivendicazioni erano quelle di un ampliamento dei diritti costituzionali e della sostituzione del primo ministro in carica da 40 anni, ormai sono preponderanti le voci che gridano alla caduta del regime, alla cacciata della famiglia reale ed alla lotta fino alla conquista di una costituzione scritta dal popolo.

I figli di Omar Mukhtar”, così si definiscono i manifestanti libici che si stanno battendo da ore contro la polizia di Gheddafi. Fucilate dagli elicotteri, lacrimogeni e acqua bollente sparati contro il movimento che sta attraversando la Libia nella sua giornata della collera. Si parla già di almeno 6 morti a Bengasi (seconda città del paese) e di 4 morti a ElBaida, senza contare le decine di feriti i cui numeri salgono di ora in ora grazie a qualche news che riesce ad uscire da un pease blindato. La stampa internazionale è stata tenuta fuori dai confini libici e i pochi giornalisti internazionali che sono riusciti a restare in città sono stati impossibilitati di seguire gli eventi. I siti e i pochi network di media attivisti indipendenti sono stati oscurati (come enoughghaddafi.com) e molti giornalisti scomodi al regime arrestati preventivamente. Mentre scarcerava diversi detenuti islamisti, Gheddafi dava gli ordini per organizzare un vero giro di vite contro militanti dell’opposizione laica, avvocati e attivisti per i diritti umani arrestandone a decine tra ieri e stamattina.

Contro la corruzione e la povertà, contro il regime e la crisi, urlano “il popolo vuole la caduta del regime”, e non si fermano neanche quando la repressione si fa più dura. Oltre a piogge di proiettili, sembra infatti che Gheddafi abbia dato ordine di liberare moltissimi detenuti “invitandoli” ad unirsi alle azioni di alcuni gruppi pro-regime armati fino ai denti e pronti ad assalire i manifestanti. Anche in Libia la tenacia e il coraggio sembra essere la più potente arma a disposizione della piazza: operai, studenti, blogger, professori, avvocati e da poche ore anche i medici si sono uniti alla protesta indignati dalla brutalità del regime. Stanno organizzando blocchi stradali che poi si tramutano in cortei e in risposta alla repressione vengono assaltati anche posti di polizia ed edifici pubblici vengono dati alle fiamme, così come le immancabiIi gigantografie del rais. Proprio in questi minuti ci giungono notizie che altri cortei e iniziative di lotta si stanno unendo al movimento, e a Bengasi si parla di migliaia e migliaia di manifestanti... anche questa notte sarà tempo di collera.

Il St. Pauli vince il derby in casa dell'Amburgo. Ed è il delirio

st._pauli_mangia_hsvDopo dieci giorni di rinvio, si è finalmente giocato l'unico derby di Germania, rinviato dieci giorni prima per una presunta cattiva tenuta del nuovo manto erboso dello stadio dopo i lavori di rifacimento. Ad Amburgo, in casa dell' HSV, vi erano oltre 62.000 spettatori e la capienza ovviamente (non siamo certo in Italia) era esaurito da giorni. Oltre 7.000 fortunati tifosi del St. Pauli hanno potuto vedere la vittoriosa esibizione, anche fortunata, della propria squadra che dopo 34 anni è riuscita a uscire vittoriosa dallo stadio dei cugini. Altri 15.000 meno fortunati se la godevano nel loro più familiare ed accogliente stadio, davanti al maxi schermo allestito per l'occasione, per poi riversarsi gioiosamente nelle strade del quartiere e festeggiare.

Questa volta, dopo l´annullamento della partita programmata per la scorsa domenica, l´organizzazione tedesca è stata perfetta, sin dalla mattina la polizia controllava diligentemente tutte le zone nevralgiche della città, in particolare il quartiere dove sorge lo stadio con i suoi punti storici, le birrerie e le sedi sociali. Per la partita il servizio di tranvia di Amburgo aveva anche predisposto un sevizio gratuito per i tifosi del St. Pauli.
Con lo scenario della neve a bordo campo per la copiosa caduta nei giorni precedenti e circa zero gradi di temperatura, la partita si presentava come il classico derby tra Davide contro Golia, il bello contro il brutto, Il socialismo contro il capitalismo, il proletariato contro la borghesia. Insomma, qualcosa che va oltre ad un semplice derby.
Il pronostico e le previsioni erano tutte per l'Amburgo, che invece ha fatto lo stesso errore che fece la Juventus nella finale di Atene nel 1983 proprio contro l´'Amburgo, stesso quando pensava di aver vinto ancora prima di giocare. La squadra di casa è arrivata allo stadio scortata da migliaia di tifosi, portati quasi in trionfo come se avesse già vinto la partita, tra feste e urla di gioia, mentre i proletari e sconosciuti giocatori del St. Pauli arrivavano in punta di piedi. Succedeva così che Van Nistelrooy buttava al vento varie occasioni, che Petric si dimenticava di aver eliminato anni fa con un suo gol l'Inghilterra dai mondiali e faceva altrettanto durante il derby.
biglietto_hsv-st_pauliI proletari invece sentivano il derby e la pressione che i 7.000 supporters completamente colorati di bianco e marrone, e logicamente con il rosso, mettevano con i loro cori folkloristici (“Siamo zecche, zecche asociali, dormiamo sotto i ponti, siamo qui per il Sankt Pauli e cantiamo per il Sankt Pauli… siamo zecche) quasi facendosi beffe delle provocazioni anche politiche che venivano dalla parte dei nerazzurri di Amburgo.
Il St. Pauli iniziava contratto, nervoso e solo in rare occasioni superava la metà campo, anche se al 43' del primo tempo gli veniva negato un rigore sacrosanto. Nel secondo tempo le cose cambiavano, con gli amburghesi che si innervosivano incamerando ammonizioni e cambiando anche gli attaccanti. Il St. Pauli veniva fuori spesso con veloci combinazioni, il famoso dai e vai di trapattoniana memoria, e sia sulla destra che sulla sinistra trovava enormi praterie. In questa maniera Gunesch, grande sconosciuto della difesa proletaria, trovava dalla distanza il "sette" ma l´attento portiere avversario Rost metteva in angolo. Solo il preludio al gol che veniva immediatamente da quel corner, battuto proprio dal settore dei settemila tifosi del St. Pauli, che forse proprio loro pennellavano la palla sulla testa di Asamoah che infilava in rete.
Il boato si è sentito fino in cittá. Nel settore ospiti i supporter che da oltre 34 anni non vincevano nella casa dei cugini andavano totalmente fuori di testa. Negli ultimi minuti il St. Pauli replicava ai confusi e furenti attacchi dall'Amburgo con pericolosissimi contropiede. Ebbers, appena subentrato ad Asamoah, si mangiava il gol dello 0-2 da solo davanti al portiere. Gli olé finali ad ogni passaggio, di chiara origine sudeuropea, chiarivano anche l´internazionalità della tifoseria del St. Pauli.
Il fischio finale proiettava questa giornata nella leggenda del St. Pauli. da una parte i giocatori dell'Amburgo si riversavano a terra disperati e piangenti, dall'altra i marroni del St. Pauli cantavano sotto la curva e i distinti dei propri tifosi per oltre un'ora.
Alle 21.30 eravamo ancora dentro lo stadio mentre il direttore sportivo dell'Amburgo, in conferenza stampa, non trovava termini per la sconfitta. La parola "vergogna" era la più usata. Nello stesso momento si vedeva lo sconosciuto portiere del St. Pauli, all'esordio, girare per il campo con una maglietta con scritto “vittoria nel derby”. Pochi sanno che mesi prima il ragazzo era stato vittima di un agguato di ritorno da una trasferta, insieme ad alcuni tifosi, da parte degli ultras dell'Amburgo. Erano alla stazione ferroviaria, intorno alle una di notte e lui, grande e grosso, si mise in mezzo a dare una mano ai tifosi che erano stati atttaccati. Con la sua borsa da calcio la leggenda dice che riusci a farsi valere e fare scappare gli aggressori. Per premio quindi il mago allenatore del St. Pauli, Stanislawski, gli promise che la sua rivincita sportiva se la sarebbe ripresa sul campo nel derby di ritorno. Comprensibile anche che la sua esultanza sia andata un po' fuori dalle righe quando con una pedata ha deciso di abbattere la bandierina del calcio d´angolo con il simbolo di casa sotto la curva dell'Amburgo.
Il problema dell'Amburgo è che da ormai anni il presidente si orienta a modelli di organizzazione più italiani che tedeschi, facendo del club quasi una gestione privata a dispetto degli oltre 90.000 soci che fanno della squadra neroazzurra uno dei più grandi club tedeschi. Ma i manager e il presidente stanno portando il club alla rovina e i soci non riescono a far cambiare marcia. Il d.s. sembra oltretutto non avere grande personalità ed è una testa di legno in mano alla presidenza, mentre l'allenatore non sa cosa farà domani.
Al contrario al St. Pauli gli oltre 15.000 soci dirigono il club, dettano le linee guida e sono loro a scrivere giorno dopo giorno la storia di questo club.

per Senza Soste, Massimo Finizio

18 febbraio 2011

Strage Piazza Loggia: 435 pagine per giustificare l'autoassoluzione

Piazza-Loggia_manifestoSono state depositate le motivazioni della sentenza del processo sulla strage fascista, di stato e della nato di piazza della Loggia a Brescia. La strage costò la vita a 8 persone, e altre 100 rimasero ferite il 28 maggio 1974. Il processo si è concluso il 16 novembre scorso con l’assoluzione di tutti gli imputati, gli ordinovisti neofascisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, l’informatore dell’Ufficio Affari riservati Maurizio Tramonte, l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino e l’ex segretario dell’Msi Pino Rauti. Le motivazioni sono riportate in 435 pagine.

In uno dei passaggi si legge: “I risultati, in termine di ricostruzione del fatto, appaiono potenzialmente schizofrenici. Ed, infatti, in base alle regole oggi vigenti, potrebbe giungersi a ricostruire un fatto differente (sebbene naturalisticamente identico) per ogni imputato, a seconda degli elementi utilizzabili nei suoi confronti e per alcuni potrebbe giungersi, in astratto, a negare la stessa sussistenza del fatto”.

In sostanza il processo penale non serve a stabilire la verità su un accadimento (costituente evidentemente reato), ma solo a stabilire se nei confronti di un determinato soggetto, in base alle regole processuali vigenti all’epoca del procedimento, quell’avvenimento si sia realizzato e lo abbia visto coinvolto al punto da potersene attribuire la responsabilità”. “Si tratta – hanno scritto i giudici – di una scelta di civiltà che questo collegio non può che tener presente e da cui va prestata osservanza pur non esimendosi, nei limiti del possibile, di ricercare una unitarietà della vicenda processuale che riguarda una pluralità di soggetti chiamati a rispondere del medesimo reato”.

Audio - Le prime valutazioni a caldo di Saverio Ferrari, dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre

Audio - Il commento invece di Manlio Milani, presidente dell’Associazione delle Vittime di piazza Loggia, che contesta invece la decontestualizzazione storica che emergerebbe da una prima lettura delle motivazioni.

tratto Da Radio Onda d'Urto

16 febbraio 2011

martedì 15 febbraio 2011

Il cappello di Obama sull'Egitto

obama-superObama si è affrettato a mettere il cappello dell'America sulla rivoluzione egiziana. Si è rifornito di tutti gli aggettivi del repertorio della retorica per fare capire quanto è vicino al popolo egiziano ed ai valori che lo hanno spinto ad assediare per quasi tre settimane il Faraone e costringerlo alla abdicazione, alla fuga dalla Capitale. Ma, nonostante l'appoggio all'unisono di tutta la batteria massmediatica dell'Occidente che sta montando la menzogna della rivoluzione egiziana come un successo di Obama, la sua performarce non riesce convincente. Il fermento rivoluzionario dei paesi alleati degli USA nel Nord Africa lo ha colto di sorpresa. Bel Alì e Mubarak da trenta lunghissimi anni hanno fruito dell'appoggio incondizionato e dei finanziamenti dell'Occidente. Questo appoggio è stato evidente fino a ieri e addirittura nel corso stesso della crisi. I blocchi sociali, gli establishement, le forze armate della Tunisia e dell'Egitto sono stati e sono tuttora profondamente integrati con le dirigenze degli USA e dell'Europa. Fittissimi rapporti d'affari e sociali intrecciano i ricconi di questi paesi con le banche e le borghesie dell'Occidente. I rampolli dei detentori del potere egiziano o tunisino studiano nelle più prestigiose Università USA o inglesi. L'Occidente non ha influenzato con le sue idee la rivoluzione in corso. Ha tentato diverse volte di usare la rivendicazione dei diritti civili nei confronti dell'Iran per rovesciarne il regime che, rispetto quello egiziano e tunisino, è fatto di persone oneste che non hanno sottratto miliardi di dollari ai loro popoli. L'Iran ha un servizio sanitario nazionale e un welfare tra i migliori del mondo e certamente superiore a quello americano. Gli iraniani non vivono con due dollari al giorno come la maggioranza degli ottanta milioni di egiziani.

Gli USA e l'Occidente non hanno mai sollevato in questi trenta anni la questione della libertà e della democrazia in Egitto ed in Tunisia e continuano a non sollevarla nei confronti del regime feudatario e carcerario dell'Arabia Saudita. Tutte le loro attenzioni sono state dedicate all'abbattimento di Ahmadinjed, a Sakineh, a criminalizzare Hamas, ad esaltare i valori della "unica democrazia" del Medio Oriente, Israele, che è un regime nazi-sionista che pratica da sempre il terrorismo di Stato e l'omicidio "preventivo" come normale ed usuale comportamento per decapitare i palestinesi della loro classe dirigente.
Il Faraone è caduto non solo per la tirannia oppressiva verso il suo popolo e per la quale dovrebbe essere processato, ma anche per la sua complicità con la politica israeliana di segregazione e distruzione della nazione palestinese. La pace Israele-Egitto che era nata come fattore positivo di stabilità della Regione é diventata complicità nella repressione del popolo palestinese. Non mi riferisco soltanto al muro di acciaio che l'Egitto sta costruendo per carcerare la popolazione di Gaza, ma anche all'appoggio a tutte le scelte della escalation israeliana. Appoggio che va dalla moltiplicazione delle colonizzazioni alla pretesa di fare di Gerusalemme città soltanto degli ebrei e per gli ebrei,
al terribile silenzio osservato per i bombardamenti di Gaza e per l'invasione del Libano.
Il popolo egiziano è insorto contro la ingiustizia del suo stato di semiprigionia e di sospensione dei diritti ma anche per la crescente tragedia dei palestinesi diventati sagome per il tiro a segno dei cecchini israeliani, vittime predestinate di un genocidio a bassa intensità, di crudeltà inaudite specie verso i bambini carcerati .

E' possibile immaginare un Egitto libero e democratico accanto ad una Palestina sofferente e sempre di più ridotta a lager da Israele? Io credo di no e credo che l'appoggio di Obama e dell'Occidente ad Israele provocherà altri sommovimenti nella regione.

Onore al popolo egiziano per la sua rivoluzione vittoriosa! Ancora oggi moltissimi giovani festeggiano in Piazza Tahir. Ma la gestione della rivoluzione è nelle mani dei militari che sono complici da sempre del regime di Mubarak. Si è creata la stranissima e surreale situazione di una rivoluzione che festeggia un colpo di Stato militare del quale non sappiamo quasi niente. Certo è importante che il potere non sia stato trasferito a Omar Suleiman, ma l'esercito non è certo depositario e garante delle ragioni della rivolta.
La delegittimazione del movimento dei fratelli musulmani e del partito comunista hanno decapitato la rivoluzione del suo centro laico democratico e popolare. La rivoluzione non ha un suo gruppo dirigente e non ha in mano niente.
Si può sperare in scelte giuste da parte di un potere misterioso e gerarchico distante dal popolo quanto lo era Mubarak, integrato con il Pentagono e con Israele? Queste scelte "giuste" non ci saranno fino a quando non cambierà la politica dell'Impero che oggi, pur essendo in crisi ed in grave declino, continua ad insistere nella imposizione del suo ordine mondiale.
di Redazione IL PUNTO ROSSO a cura di PIETRO ANCONA
12 febbraio 2011

sabato 12 febbraio 2011

Roma. Ponte Milvio, aggredito studente a calci e con punteruolo perché è “antifascista” ·

Ponte Milvio, aggredito studente a calci
e con punteruolo perché è “antifascista”

di Luca Monaco

ROMA - Aggredito e picchiato per colpa della politica. «Scusa, tu sei antifascista?». Una domanda a bruciapelo, poi le botte: calci, pugni e altri colpi alla testa inferti con un punteruolo. Sono le venti di mercoledì 2 febbraio, quando Massimo Pasqualetti, 22 anni, uno studente fuorisede iscritto al secondo anno della facoltà di Scienze motorie all’Università del Foro Italico, racconta di essere stato avvicinato da tre coetanei italiani, mentre aspettava l’autobus in largo Maresciallo Diaz, a pochi metri da Ponte Milvio. «Stavo aspettando il 69, dovevo andare a studiare a casa di un amico, quando ad un tratto si sono avvicinati tre ragazzi apparentemente normalissimi. Mi hanno chiesto se ero antifascista, ho risposto di sì, e in una frazione di secondo mi sono ritrovato a terra, con loro che mi ricoprivano di colpi. Quando mi sono rialzato, dalla testa grondavo sangue». Poi la corsa al Pronto soccorso dell’Ospedale San Pietro per farsi medicare le ferite. Il referto recita: «Trauma cranico non commotivo e facciale contusivo. Ed escoriazioni al cuoio capelluto».

Cinque giorni di prognosi. «Poteva andarmi peggio», prova a sdrammatizzare, mentre racconta l’accaduto. Perché aggredirlo? Picchiarlo selvaggiamente mentre attendeva semplicemente l’autobus alla fermata? «L’unica ragione può essere stato il mio aspetto fisico», dice. Forse il suo taglio di capelli con un accenno di cresta, oppure la Kefia palestinese arrotolata intorno al collo, sopra il giubbotto in pelle. Di sicuro c’è che Massimo non ha alcuna militanza politica alle spalle. È un fuorisede come tanti. Viene dalla provincia di Ascoli Piceno, vive nella zona di Ponte Milvio solo da pochi mesi. «L’hanno scorso stavo a Monteverde – afferma - Quest’anno ho voluto avvicinarmi all’università. Condivido un minuscolo appartamento con altri quattro ragazzi, pago 300 euro al mese per una stanza doppia. La casa è vecchia, ma almeno è vicina alla facoltà». L’unica ragione che può aver attirato l’attenzione del branco è legata al suo aspetto esteriore.

Massimo quella sera stava parlando al telefono con la sua ragazza alla fermata del 69 in largo Maresciallo Diaz. «In chiusura di telefonata si sono avvicinati a piedi tre ragazzi, mai visti prima - scrive la sera stessa al sito inviatospeciale, raccontando una prima volta l’accaduto -. Mi hanno chiesto qualcosa, ma non sono riuscito a capire. Credevo che fossero dei passanti in cerca di informazioni. Mentre avevo ancora il telefono in mano, mi hanno ripetuto in romanesco: “Tu sei antifascista?“. “Come?“, ho chiesto spiazzato dalla domanda. Al che uno di loro mi ha ripetuto: “Ma tu sei antifascista?“. A quel punto con la massima tranquillità ho risposto: “Beh, sì“. Non ho fatto in tempo a concludere la frase, che hanno iniziato a colpirmi con dei pugni in pieno volto, e in testa, con un arnese appuntito. Quando sono caduto a terra, ai pugni si sono aggiunti i calci. Il tutto è durato pochi secondi, poi i tre sono fuggiti. Io mi sono rialzato e mi sono reso subito conto che perdevo sangue dal labbro e dal naso, oltre che dalla testa: in terra si è velocemente formata una grossa pozza, che ha macchiato anche la pensilina dell'Atac. I miei occhiali erano accartocciati, il telefonino sull’asfalto in mille pezzi. Sono riuscito ad avvisare i miei coinquilini solo grazie alla gentilezza delle due signore che erano con me alla fermata e che hanno assistito alle scena».

«Mentre attendevo l’ambulanza - continua Massimo - si è fermato anche un autista di un autobus per vedere cosa stava accadendo. Le signore sono rimaste a fornirmi acqua e fazzoletti mentre accorrevano i miei amici». Poi Massimo viene portato sulla piazza di Ponte Milvio, «dove ho spiegato l’accaduto a una pattuglia della Municipale che era lì per un incidente stradale. Anche loro hanno provato a chiamare l’ambulanza, che però non è mai arrivata». Alle 21, un automobilista si offre di accompagnarlo al San Pietro, sulla Cassia.

A una settimana di distanza da questa brutta avventura, resta lo sconcerto. Non la paura «quella mai, al limite un pò di apprensione - spiega Massimo- perché ogni giorno sono costretto a prendere l'autobus alla stessa fermata». E sopratutto resta la consapevolezza «che a Roma Nord si può essere aggrediti senza motivo per una Kefia e un paio di orecchini». Ora a Massimo non resta che sperare che la polizia riesca a individuare i responsabili.
Lunedì 07 Febbraio 2011

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=137723&sez=HOME_ROMA


"Moubarak sconfitto! E' il primo grande passo!"

mubarak_scappa_scarpeTutti guardano a Piazza AlTahrir e in milioni nel mondo possono finalmente liberare quel grido di gioia


che era fermo in gola da giorni. Moubarak ha lasciato la morsa, battuto, sconfitto dal movimento egiziano, dal suo divenire rivoluzionario. A Dicembre le prime immolazioni di giovani disoccupati, proletari e operai, e poi mentre la Tunisia rivoluzionaria faceva i suoi primi passi da Sidi Bouzid al resto del paese, anche in Egitto saliva la tensione. Come non riconoscersi in quella gente degna e coraggiosa? Tra quei studenti e studentesse, tra quei disoccupati e banlieusards, tra quegli avvocati, sindacalisti e operai ci si è riconosciuto mezzo mondo mentre non cedevano ad una repressione implacabile. E mezzo mondo ha gridato di gioia quando il 14 gennaio Ben Ali veniva sbattuto a terra dal movimento tunisino. Oggi dopo 20 giornate di lotte, scioperi generali, resistenza tenace e rilancio continuo di mobilitazione, il movimento anche in Egitto regala ai proletari, agli umiliati, ai poveri e agli sfruttati di tutti i continenti, massacrati dalla crisi, non più una speranza, ma una concreta certezza: rovesciare il tiranno è possibile.

La rivoluzione dei coraggiosi ha fatto il primo grande passo in Egitto, la salutano i kalashnikov puntati al cielo a Gaza, i clacson che impazzano per l'Avenue Bourghiba a Tunisi, per le strade di Amman, e nelle case degli algerini che domani scenderanno in piazza contro il regime. Un primo grande passo, è vero. Ma tutti sanno che è solo l'inizio e che la rivoluzione è appena cominciata. Lo dicono tutti a Piazza AlTahrir, lo affermano risoluti e commossi tanti intervistati egiziani da AlJazeera, lo twittano a milioni su un ashtag #jan25 che è un flusso di gioia e rilancio di lotta.

Sarà dura! Forse ancora più di prima: caduto il tiranno adesso c'è da lottare contro la tirannia, contro il sistema di Moubarak che ha garantito per anni gli interessi economici e politici del suo establishment, dell'America, dell'Europa e dei suoi alleati, primo tra tutti lo stato Israeliano che già si è detto preoccupato per la stabilità e la pace. I militari, mentre sorvegliano le piazze senza celare i sorrisi, sembrano intenzionati a sciogliere i due rami del parlamento e annunceranno nelle prossime ore le dimissioni del governo Shafiq, a quel punto sarà chiara la direzione in cui le istituzioni del post-Moubarak vogliono andare, con molta probabilità "accompagnate" dalla Casa Bianca. Intanto tra la gioia e la soddisfazione, il movimento festeggia e presidia tutte le piazze e le strade del paese, inonda le proprie città conquistate con la lotta mentre scopre collettivamente la sua potenza. E la reazione lo sa: dopo decenni di silenzio e oppressione, adesso anche in Egitto una generazione di giovani proletari, studenti e disoccupati si è riappropriata della politica, della prassi dell'organizzazione e della lotta, e la svolta è data e dovrà farci i conti. Ormai tra le rive del Nilo non si torna indietro, e da un pezzo non si ha più paura, la rivoluzione dei coraggiosi ha fatto il suo passo, e adesso non può che continuare a farsi largo più forte di prima.

Link: L'Egitto ha cacciato il Faraone

tratto da www.infoaut.org

12 febbraio 2011

Cassazione: Non è reato dare del ‘razzista’ a un fascista. Rientra in diritto critica politica anche accostamento al nazismo

fasciRoma, 10 feb. (TMNews) – Non commette reato chi dà del “razzista” e del “nazista” a un fascista. Lo sottolinea la Cassazione che, con la sentenza numero 4938 del 10 febbraio 2011, ha confermato il non luogo a procedere nei confronti di un giornalista che aveva riportato delle affermazioni contro degli esponenti di un’organizzazione di estrema destra.

In particolare, in un passaggio chiave delle motivazioni, riporta il sito Cassazione.net, la quinta sezione penale ha messo nero su bianco che in una dimensione storica le “qualifiche di xenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo attengono a principi o valori (o disvalori, a seconda della diversa angolazione prospettica, nrd), intimamente connaturati e strutturalmente coessenziali alla ideologia nazista e fascista”.

Tutti i danni dell'inceneritore

A. Introduzione
inceneritore_montaleNegli ultimi trent’anni abbiamo assistito ad una crescente e smisurata produzione di rifiuti indice di una società sempre più orientata verso i consumi. La gestione dei rifiuti è diventata un problema ambientale tangibile ovunque, soprattutto nei paesi in via di sviluppo spesso oggetto di importazioni illegali di rifiuti e di tecnologie produttive ad alto impatto sanitario ed ambientale.

Molti governi europei, fra cui l’Italia, promuovono l’incenerimento come soluzione all’emergenza rifiuti e incentivano, attraverso contributi economici e facilitazioni amministrative (come le procedure semplificate), la costruzione di nuovi termodistruttori. Sistemi alternativi più sostenibili e meno pericolosi per l’uomo e per l’ambiente continuano ad essere ignorati.
Nel nostro paese sono già presenti ben 212 impianti di incenerimento, di cui 171 di rifiuti speciali e la restante parte di rifiuti urbani, un numero irrisorio se confrontato a quello degli impianti previsti per i prossimi anni. Greenpeace ha condotto un’indagine conoscitiva sugli impianti esistenti e su quelli previsti in Italia, rivolgendosi direttamente alle amministrazioni pubbliche (Regioni e Province) e alle ARPA (agenzie regionali per la protezione dell’ambiente). Nonostante la collaborazione degli enti pubblici sia stata parziale, risulta evidente nei piani provinciali e regionali di gestione l’orientamento generale a ricorrere alla combustione dei rifiuti.
Dalle informazioni raccolte emerge il seguente quadro non esaustivo:
  • 25 nuovi impianti previsti
  • 6 nuove autorizzazioni
  • 3 interventi di ampliamento e ristrutturazione
  • 7 impianti in fase di collaudo e attivazione
In sintesi nei prossimi anni almeno altri 41 impianti bruceranno rifiuti urbani e speciali, senza tener conto degli inceneritori previsti nelle province da cui non abbiamo ottenuto dati ufficiali. Il ricorso agli inceneritori rappresenta un disincentivo alla riduzione della produzione di rifiuti e alla raccolta differenziata, nonché un’ennesima fonte di inquinamento ambientale e sanitario.
Questa politica di gestione dei rifiuti contrasta le indicazioni della Comunità europea che prevedono, invece, una serie di linee di intervento, recepite a livello nazionale dal decreto Ronchi (1997), quali:
  • q prevenzione
  • q riutilizzo
  • q riciclo
  • q recupero di materia e poi di energia
Questo significa per i sistemi di gestione integrata l’attuazione di strategie di prevenzione della produzione dei rifiuti che prevedano a valle riutilizzo, riciclo e recupero per ridurre la domanda di materie prime ed infine, solo in ultima ratio, il recupero energetico.
In Italia, nel 1999, sono state prodotte 108 milioni di tonnellate di rifiuti di cui circa 50 di rifiuti speciali (esclusi i rifiuti inerti da costruzione) e la restante parte di rifiuti urbani, in cui sono compresi anche quelli derivati dagli imballaggi dei beni di consumo.
In realtà il problema non è solo determinato dal volume dei rifiuti prodotto ma anche dalla loro natura: la pericolosità del rifiuto dipende dall’attività industriale che lo ha generato, ma anche dalla quantità e tipologia dei composti presenti. Per esempio, i fanghi di dragaggio portuale sono considerati rifiuti pericolosi in virtù della presenza di sostanze tossiche (benzeni, metalli pesanti ecc.), derivanti dal traffico portuale e dal dilavamento delle vernici.
Queste sostanze tossiche determinano problemi di natura igienico-sanitaria ed ambientale soprattutto in fase di smaltimento dei fanghi di dragaggio.
Nella gestione integrata dei rifiuti lo smaltimento, cioè la fase conclusiva del ciclo dei rifiuti, ha un valore marginale e, secondo la legge, è ammissibile solo per i rifiuti inerti (derivanti da attività di demolizione), i rifiuti trattati (residuali di operazioni di riciclo, riutilizzo e smaltimento) ed altri individuati da apposite norme tecniche non ancora emanate.
Lo smaltimento finale avviene attraverso il conferimento in discariche controllate o la termocombustione per mezzo di inceneritori (con e senza recupero energetico).
Le problematiche ambientali connesse al conferimento in discarica sono dovute ad immissione nell’atmosfera di gas, quali soprattutto metano, ed inquinanti nel suolo e sottosuolo sotto forma di percolato. Questi fenomeni potrebbero, però, essere evitati se venissero predisposti idonei sistemi di captazione degli inquinanti (biogas e percolato), nonché realizzate misure di impermeabilizzazione del fondo di quelle che verrebbero, a ragione, definite “discariche controllate”.
Gli inceneritori, o termodistruttori, sono impianti di smaltimento che bruciano i rifiuti allo scopo di ottenerne una riduzione in peso e in volume. In realtà la fisica insegna che la materia non può essere né creata né distrutta e durante la combustione essa semplicemente si modifica.
I termodistruttori non distruggono i rifiuti ma li trasformano in ceneri, scorie ed emissioni tossiche. Oltre a non risolvere il problema delle discariche, perché le ceneri dovranno essere a loro volta smaltite in discariche per rifiuti speciali, gli inceneritori non fanno fronte nemmeno all’emergenza rifiuti (in quanto la costruzione di un impianto richiede anni di lavoro) e, soprattutto, vanno contro ogni forma di prevenzione dei rifiuti.
A completare il controverso quadro intorno a questi impianti va senza dubbio sottolineato l’impatto di questa tecnologia sulla salute pubblica: i risultati delle recenti indagini, riportati in sintesi nel presente rapporto, lo dimostrano con chiarezza.
B. Ma come è fatto un inceneritore?
Ogni impianto di termodistruzione prevede l’esistenza di sezioni ausiliarie sia a monte che a valle del combustore (o forno); in genere è possibile distinguere 5 parti principali:
  • 1. Sezione di accumulo e stoccaggio, in cui i rifiuti vengono accumulati prima della combustione.
  • 2. Sezione di combustione, costituita da una camera di ossidazione (forno) realizzata in forme e tecnologie differenti a seconda della tipologia del rifiuto (contenuto energetico, caratteristiche chimico-fisiche ecc.):
    • “Combustori a griglia” (fissa o mobile) per rifiuti urbani tal quali o materiale non omogeneo, con potere calorifico non troppo elevato; questa tecnologia è obsoleta ma ha bassi costi di manutenzione.
    • “Combustori a letto fluido” per frazioni di rifiuti ad alto potere calorifico, come il cdr (combustibile derivato dai rifiuti) o i fanghi di depurazione dei reflui civili.
    • “Forni a tamburo rotante” per varie tipologie di rifiuti (solidi, liquidi, fanghi e rifiuti ospedalieri), in particolare per quelli industriali. Ha maggiori costi di investimento e un basso rendimento di combustione.
  1. Sezione di post-combustione (camera secondaria di combustione), la cui introduzione è avvenuta in Italia nel 1984 al fine di completare la combustione dei rifiuti ed abbattere il cloro, che porta alla formazione dei composti clorurati (come diossine e furani). In realtà si possono verificare degli inconvenienti tecnici per i quali si facilita la formazione di questi composti: le particelle dei fumi che incrostano le pareti possono funzionare da catalizzatori nella formazione di questi composti.
  2. Sezione di raffreddamento fumi, che nei vecchi impianti avveniva senza recupero di energia, oggi dovrebbe essere obbligatorio.
  3. Sezione di trattamento fumi a sua volta suddivisa in tre parti:
  • § depolverizzazione, per la rimozione delle polveri effettuata mediante filtri;
  • § abbattimento dei gas acidi (acido cloridrico, fluoridrico, ossidi di zolfo);
  • § rimozione degli ossidi di azoto effettuata in caldaia mediante un sistema catalitico o attraverso iniezione di alcuni composti (ammoniaca o urea).
C. Quali rifiuti alimentano gli inceneritori?
Il combustibile degli impianti d’incenerimento sono i rifiuti ma non tutti possono essere inceneriti, ad esempio metalli e vetro si ritrovano all’uscita degli impianti e alcune frazioni, come per esempio quella organica (derivante in parte dagli scarti alimentari), hanno un basso potere calorifico che incide negativamente sull’efficienza di combustione.
Al contrario alcuni materiali, in primis la plastica e poi il legno e la carta, hanno un elevato potere calorico, ragione per cui queste frazioni merceologiche, separate dalla raccolta differenziata, molto spesso vengono indirizzate all’incenerimento e non al recupero di materia.
Di seguito sono elencate le tre tipologie di rifiuto che possono essere sottoposte al trattamento termico:
  • q Rifiuto urbano tal quale (RU o RU t.q.) - rifiuto indifferenziato, così come raccolto e comprendente anche quella frazione che rimane a valle di operazioni di raccolta differenziata. Previa separazione di materiali ingombranti ed eventualmente di metalli può alimentare un impianto di incenerimento soggetto ad autorizzazione da parte della Regione.
  • q Frazione secca (o secco) - frazione combustibile derivante da vagliatura meccanica del rifiuto urbano indifferenziato o proveniente da raccolta separata (rimozione degli ingombranti e dei metalli) che può alimentare un impianto di incenerimento soggetto ad autorizzazione da parte della Regione. Rispetto ai RU t.q. presenta un maggiore potere calorifico e caratteristiche di umidità e contenuto di inerti più costanti.
  • q CDR (combustibile derivato da rifiuti) - deriva da un processo di raffinazione della frazione secca attraverso una serie di trattamenti quali triturazione, essiccamento, addensamento, eventuale miscelazione con rifiuti ad alto potere calorifico (plastiche, gomme, legno). Il cdr è caratterizzato da specifici requisiti quali il contenuto di umidità, ceneri, cloro, metalli ecc. ed è utilizzabile in impianti d’incenerimento ed in centrali termoelettriche e cementifici (in quest’ultimo caso in co-combustione con combustibili fossili).
Il cdr rappresenta un disincentivo per il recupero di materia dopo la raccolta differenziata ed inoltre potrebbe essere un ottimo escamotage per la malavita organizzata. Ciò è dovuto al fatto che la costruzione e l’esercizio di un impianto di cdr richiede un iter amministrativo molto snello. E’ necessario, infatti, comunicare solo l’inizio dell’attività alla Provincia competente (secondo le procedure semplificate previste dal decreto Ronchi), applicando il principio del silenzio assenso.
D. Emissioni
Tutti i tipi di inceneritori bruciano i rifiuti immessi ma rilasciano numerosi composti inquinanti nell’ambiente, sia sotto forma solida che gassosa. La formazione di queste sostanze, di cui molte sono ancora oggi sconosciute, dipende da una serie di fattori quali: la tipologia del rifiuto trattato (composizione chimica), le condizioni di combustione e quelle operative di funzionamento dei sistemi di abbattimento degli inquinanti.
Gli inquinanti emessi sotto forma di gas dal camino dell’inceneritore si dividono in microinquinanti e macroinquinanti perché presenti in differenti concentrazioni (rispettivamente ug o ng/ m3 e mg/m3). Tra i microinquinanti si trovano composti organici del cloro, come PCB (policlorobifenili), diossine, furani, policloronaftalene e clorobenzene, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili) e metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio ecc.).
Polveri, acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo e ossidi di carbonio sono invece i macroinquinanti emessi da un inceneritore.
Le sostanze emesse in forma solida si distinguono in ceneri di fondo (che si depositano alla base della caldaia durante il processo di combustione) e ceneri volanti (perché non trattenute dai sistemi di filtraggio aereo).
Molti dei microinquinanti sono noti per essere persistenti, cioè resistenti ai processi di degradazione naturale, bioaccumulabili perché si accumulano nei tessuti degli animali viventi trasferendosi da un organismo all’altro lungo la catena alimentare e tossici, in quanto sono sostanze che possono comportare rischi per la salute dell’organismo con cui entrano in contatto, fino a provocarne la morte.
In questo rapporto verranno presi in considerazione i composti che sono stati più a lungo studiati e che hanno il maggior impatto dal punto di vista sanitario e ambientale.
E. Diossine e furani
Il termine generico “diossine” si riferisce ad una famiglia di composti organici del cloro che comprende 75 tipi di diossine e 135 di furani, di cui 17 suscitano forti preoccupazioni tossicologiche. L’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato la diossina, denominata TCDD, come riconosciuto cancerogeno per l’uomo; altre organizzazioni autorevoli, come l’SFC (comitato scientifico dell’alimentazione umana) e l’OMS (organizzazione mondiale della sanità), hanno concluso che l’effetto cancerogeno delle diossine si realizza solo dopo una certa soglia, mentre altre implicazioni, come effetti sul sistema immunitario, neurocomportamentale e l’endometriosi si possono manifestare anche a livelli notevolmente inferiori alla soglia individuata.
Nel corso del XX secolo sono state identificate diverse fonti di emissione di diossine, tutte accomunate dalla presenza di cloro (sia essa volontaria o accidentale) durante i processi di lavorazione. Tra i diversi procedimenti ricordiamo la sintesi e lo smaltimento dei pesticidi, lo sbiancamento della polpa di legno, i processi metallurgici e, a partire dalla fine del secolo scorso, l’incenerimento, in particolare quello di rifiuti urbani. Questa tecnologia è considerata oggi come la fonte principale di emissione delle diossine.
Le diossine sono ampiamente diffuse in tutto il globo e la ricerca ha dimostrato la loro presenza nel sangue umano e nel latte materno, sollevando notevoli interrogativi sugli effetti che avranno a medio-lungo termine sulla salute pubblica.
Nonostante il progresso dei sistemi di controllo e di abbattimento dell’inquinamento atmosferico abbia determinato una parziale riduzione delle diossine emesse dai camini degli inceneritori, la parte dei composti che non finisce in aria si ritrova comunque nelle ceneri di fondo e quindi causa un impatto, in fase di smaltimento, sul suolo e sulle falde acquifere anziché in atmosfera.
In Italia le emissioni atmosferiche di un inceneritore ricadono all’interno delle disposizioni del D.M. 503/97 che prevede un monitoraggio continuo per alcuni inquinanti quali polveri, acido cloridrico, ossigeno, ossidi di carbonio, zolfo e azoto; mentre per quanto riguarda gli altri contaminanti (diossine e furani, metalli pesanti, PCB) la frequenza delle misurazioni, seppur stabilita da leggi regionali, non deve superare quella annuale.
Ciò determina una carenza di informazioni proprio sui composti a maggior rischio tossicologico, sui quali non viene effettuato un monitoraggio continuo durante le normali condizioni operative, ma vengono usate misure puntuali che potrebbero essere inaccurate e sotto stimare le reali emissioni di diossine nell’aria.
F. Metalli pesanti
Attraverso l’incenerimento i metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio, arsenico ecc.), presenti negli originali rifiuti solidi, sono emessi sotto forma di gas, in associazione a particelle aeree minuscole, di ceneri e di altri residui solidi.
Molti metalli sono tossici e persistenti nell’ambiente e provocano notevoli impatti negativi sulla salute dell’uomo. Per esempio il cadmio è un noto cancerogeno e provoca effetti respiratori acuti (polmonite) o cronici, mentre il mercurio è dannoso al sistema nervoso (quando è presente sotto forma di vapore) mentre i suoi composti inorganici hanno proprietà tossiche anche a basse concentrazioni.
Ad eccezione del mercurio, i livelli dei metalli rilasciati nei gas sono decresciuti nell’ultimo decennio grazie al miglioramento delle tecnologie di abbattimento dell’inquinamento aereo. Ma, come per le diossine, la riduzione delle emissioni in atmosfera di metalli determina un corrispondente aumento dei loro livelli nelle ceneri e nelle scorie, il cui impatto sull’ambiente sarà registrato solo al momento della loro deposizione in discarica.
G. Materia particolata
Tutti gli inceneritori emettono particolato in atmosfera (di cui la maggior parte ha dimensioni microscopiche) e contribuiscono quindi all’inquinamento aereo dovuto alle particelle solide sospese, che rappresenta un serio rischio per la salute dell’uomo.
Gli attuali sistemi di controllo dell’inquinamento aereo possono prevenire l’immissione di solo il 5-30% di particelle in atmosfera (aventi dimensioni inferiori ai 2,5 um) ma non possono prevenire la dispersione della maggior parte delle particelle, dette “ultrafini”, perché di dimensioni così piccole (inferiori a 0,1 um) da oltrepassare le maglie dei filtri.
Questa è la ragione per cui le particelle ultrafini possono raggiungere le regioni più profonde dei polmoni e determinare un notevole impatto sul sistema respiratorio. Recenti evidenze sperimentali indicano come le particelle emesse dagli inceneritori, a causa della presenza di metalli sulla loro superficie, determinino un inquinamento atmosferico più dannoso di quello dovuto alle centrali termiche a carbone suscitando perciò grande preoccupazione per la salute umana.
H. Ceneri
Come accennato nell’introduzione, gli inceneritori producono rifiuti solidi, sotto forma di ceneri e scorie, in quantità pari a circa un terzo del peso del rifiuto immesso. Si distinguono due tipologie di ceneri: quelle volanti (3-5%), che sfuggono ai sistemi di filtraggio aereo e le ceneri di fondo (circa 30%), che si depositano alla base delle caldaie e che dovranno quindi essere smaltite, come rifiuti tossici, in discariche controllate. Tra i rifiuti a valle di un impianto di incenerimento, oltre ceneri e scorie, bisogna annoverare la presenza di materiale non combusto; non di rado, infatti, accade che le condizioni operative della camera di combustione o di post combustione non siano idonee a garantire un completo trattamento dei rifiuti in entrata.
La tossicità delle ceneri è legata sia alla presenza di diossine e metalli sia alla loro facilità di dispersione che provoca problemi di trasporto e di smaltimento finale in discarica. Una volta conferite in discariche speciali per rifiuti tossici, le ceneri rappresentano una potenziale fonte di contaminazione del sottosuolo e delle acque di falda. In alcuni casi, infatti, è stata accertata la contaminazione delle acque ad opera di metalli, come piombo e cadmio, rilasciati dalle ceneri4.
Nel tentativo di ridurre questo fenomeno di rilascio, definito lisciviazione , le ceneri sono talvolta stabilizzate in cemento prima della deposizione in discarica. Sebbene questo metodo riduca il rilascio immediato delle sostanze tossiche, le condizioni atmosferiche e l’erosione potrebbero comunque causare in tempi più lunghi la dispersione di questi elementi e composti nell’ambiente.
Alcuni paesi europei stanno sperimentando l’utilizzo delle ceneri per manufatti impiegati in opere di costruzione (strade e viali), una pratica che riduce sicuramente i costi legati al loro smaltimento. Il problema è legato alla sicurezza di questi manufatti che, a seguito di eventi esterni non prevedibili (terremoti, subsidenza), potrebbero rilasciare i composti tossici e determinare quindi pericolo per l’ambiente e per l’uomo.
Negli ultimi anni ‘90 nel Newcastle (GB) sono state utilizzate ceneri provenienti da un moderno inceneritore come fertilizzanti: nei lotti di terreno fertilizzati sono stati trovati alti livelli di diossine e metalli pesanti4. E’ facile ipotizzare un loro passaggio nei tessuti dei vegetali e quindi nella catena alimentare.
Nonostante la tossicità delle ceneri la Comunità europea non prevede limiti di concentrazione di composti organici e di metalli in questi rifitui e nemmeno ne scoraggia l’utilizzo.
I. L’impatto ambientale e sanitario
Come accennato in precedenza le emissioni degli inceneritori, sia sotto forma solida che gassosa, sottopongono l’ambiente e la popolazione ad una ulteriore esposizione ai composti inquinanti, il cui reale impatto potrà essere documentato solo fra decine di anni.
Le poche indagini inerenti l’impatto ambientale hanno mostrato la presenza di livelli elevati di metalli e di diossine nel suolo e nella vegetazione limitrofa agli inceneritori, nonché la contaminazione causata a prodotti alimentari come il latte di mucca e le uova.
Nonostante l’entità dell’impatto sanitario delle sostanze tossiche dipenda da molti fattori fra cui la concentrazione nell’ambiente, il grado di tossicità e la durata dell’esposizione, esso può essere ricondotto a due tipologie principali:
  • § Occupazionale, legata all’ambiente di lavoro
  • § Non occupazionale, a sua volta distinta in accidentale o ambientale.
La prima si riferisce all’impatto che una sostanza (elemento o composto) può avere sui lavoratori impiegati in un processo produttivo; la seconda invece si distingue in una esposizione accidentale legata ad un evento fortuito, non prevedibile (esplosioni, incendi ecc.) o ad un’esposizione ambientale riferita ad una continuata emissione industriale di composti inquinanti in aria, nel suolo e nelle acque.
Le popolazioni residenti in zone limitrofe agli inceneritori sono fortemente esposte per inalazione e contatto dermico agli inquinanti immessi in atmosfera. La maggior parte di questi entra inevitabilmente nella catena alimentare.
L’immissione nell’aria di particelle fini insieme ad ossidi di zolfo e azoto (SO2 e NO2) determinano un notevole impatto sul sistema respiratorio, in quanto hanno la capacità di raggiungere le regioni più profonde dei polmoni. Oltre a disturbi respiratori di piccola entità come bronchiti e tosse è stata accertata la maggiore probabilità di incidenza di tumori ai polmoni sia per i residenti in aree prossime ad inceneritori che per i lavoratori impiegati in tali impianti.
In queste fasce di popolazione risulta più frequente l’insorgenza di forme tumorali che investono diversi apparati oltre quello respiratorio, quali il sistema gastrico, i tessuti molli (sarcoma) e le vie linfatiche (linfoma non-Hodgkin). I lavoratori impiegati negli inceneritori sono, inoltre, soggetti ad altre patologie come malattie del cuore, alterazioni del sistema immunitario ed è stato trovato un eccesso di lipidi nel sangue e di proteine e tioeteri nelle urine; i tioeteri sono markers biologici ovvero indicatori dell’esposizione tossica a composti come gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici).
I risultati emersi negli ultimi anni suscitano preoccupazione in merito all’impatto dell’incenerimento sulla salute pubblica soprattutto in considerazione del fatto che il numero delle indagini sperimentali è ancora oggi limitato e non abbraccia tutti gli inquinanti emessi da un inceneritore, in quanto non è ancora nota la composizione di molte sostanze.
L. Perché si è contrari all’incenerimento
Si è contrari ad ogni forma d’incenerimento, indipendentemente dalla tipologia di rifiuto incenerito e dalla capacità dell’impianto. Esistono diverse ragioni che giustificano questa posizione, gli inceneritori infatti:
  • Pongono un rischio ambientale - Le sostanze contaminanti emesse da un inceneritore per via diretta o indiretta inquinano l’aria, il suolo e le falde acquifere.
  • Nonostante i moderni sistemi di abbattimento degli inquinanti riescano a limitare ma non abbattere completamente le dispersioni atmosferiche, molto spesso gli stessi inquinanti si ritrovano rilasciati in forma solida. Inoltre la natura della maggior parte degli inquinanti emessi è tale da porre problemi anche a bassa concentrazione e la loro caratteristica di resistenza alla degradazione naturale ne determina un progressivo accumulo nell’ambiente.
  • Pongono un rischio sanitario - Molti degli inquinanti emessi come le diossine e i furani sono composti cancerogeni e altamente tossici. L’esposizione al cadmio può provocare patologie polmonari ed indurre tumori all’apparato urinario e ai polmoni. Il mercurio è dannoso al sistema nervoso centrale ed è riconosciuto come possibile cancerogeno.
  • Non eliminano il problema delle discariche - Nonostante la diminuzione di volume dei rifiuti prodotti, il destino delle ceneri e di altri rifiuti tossici prodotti da un inceneritore è comunque lo smaltimento in discarica per rifiuti speciali, più costose e pericolose.
  • Non risolvono le emergenze - La costruzione di un impianto di incenerimento richiede diversi anni di lavoro (almeno 4-6 anni) e pertanto non può essere considerato una soluzione all’emergenza rifiuti.
  • Richiedono ingenti investimenti economici - Sono impianti altamente costosi (almeno 60 milioni di euro) e a bassa efficienza che necessitano di un apporto di rifiuti continuo, in netta opposizione ad ogni intervento di prevenzione della loro produzione.
  • Disincentivano la raccolta differenziata - Questo sistema di raccolta in Italia si aggira intorno al 13 %, una percentuale irrisoria la cui crescita sarà fortemente penalizzata se la gestione dei rifiuti prenderà la via della combustione.
  • Non creano occupazione - La costruzione e l’esercizio di un impianto determina un livello occupazionale inferiore al personale impiegato nelle industrie del riciclaggio dei materiali pubbliche e private che potrebbe offrire dai 200.000 ai 400.000 posti di lavoro nell’Unione europea.
  • Non garantiscono un alto recupero energetico - Il risparmio di energia che si ottiene dal riciclare più volte un materiale o un bene di consumo è molto superiore all’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti. La plastica, che rappresenta circa l’11% in peso dei rifiuti urbani, è l’unica frazione merceologica la cui combustione è più vantaggiosa del riciclaggio: ciò è dovuto al suo elevato potere calorifico (ottimo per il processo di incenerimento) e allo scarso valore commerciale della plastica riciclata (un materiale plastico riciclato, infatti, può essere utilizzato una sola volta ed esclusivamente in applicazioni minori, come arredo urbano, fibre tessili e materiali per l’edilizia).
O. Quali richieste
A Maggio 2001 oltre 90 Paesi hanno adottato la Convenzione di Stoccolma relativa alla graduale eliminazione degli inquinanti organici persistenti (POP), un gruppo di composti chimici considerati fra i più tossici e persistenti, tra cui le diossine.
L’incenerimento dei rifiuti deve essere considerato una delle principali fonti di emissione delle diossine e pertanto è necessario un bando totale di questa pratica di smaltimento dei rifiuti.
Il rispetto del “Principio Precauzionale”, in base al quale si devono prevenire le emissioni di sostanze contaminanti anche in assenza di prove definitive sulla probabilità del danno, dimostra che è necessaria una revisione radicale del sistema di gestione dei rifiuti a favore di misure e tecnologie alternative all’incenerimento.
Si ritiene che la gestione dei rifiuti dovrebbe essere orientata verso obiettivi progressivi di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio, quali:
  1. Eliminazione progressiva di tutte le forme di incenerimento industriale entro il 2020, incluso l’incenerimento dei rifiuti urbani.
  2. Misure normative ed economiche per promuovere il riutilizzo degli imballaggi (bottiglie e contenitori) e dei prodotti (computer, componenti elettronici).
  3. Incentivi finanziari (tassa per la discarica) usati per sostenere il sistema di raccolta differenziata e di riciclaggio.
  4. Incentivi al comparto del riciclaggio attraverso provvedimenti che stabiliscano quantità specifiche di materiali riciclati negli imballaggi e nei prodotti.
  5. Materiali che non possono essere riciclati o compostati con sicurezza alla fine del loro ciclo di vita (come le plastiche) devono essere progressivamente eliminati e sostituiti con materiali ambientalmente sostenibili.
  6. Materiali e prodotti che aumentano la produzione di sostanze pericolose negli inceneritori non dovrebbero entrare nel flusso dei rifiuti. Tali prodotti includono materiale elettronico, metalli e prodotti come il PVC.
  7. Sviluppo di tecnologie e sistemi di produzione che siano più efficienti in termini di impiego di materie prime, energia e di riduzione dei rifiuti prodotti.
  8. Attuazione del Principio Precauzionale.

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