sabato 12 febbraio 2011

Tutti i danni dell'inceneritore

A. Introduzione
inceneritore_montaleNegli ultimi trent’anni abbiamo assistito ad una crescente e smisurata produzione di rifiuti indice di una società sempre più orientata verso i consumi. La gestione dei rifiuti è diventata un problema ambientale tangibile ovunque, soprattutto nei paesi in via di sviluppo spesso oggetto di importazioni illegali di rifiuti e di tecnologie produttive ad alto impatto sanitario ed ambientale.

Molti governi europei, fra cui l’Italia, promuovono l’incenerimento come soluzione all’emergenza rifiuti e incentivano, attraverso contributi economici e facilitazioni amministrative (come le procedure semplificate), la costruzione di nuovi termodistruttori. Sistemi alternativi più sostenibili e meno pericolosi per l’uomo e per l’ambiente continuano ad essere ignorati.
Nel nostro paese sono già presenti ben 212 impianti di incenerimento, di cui 171 di rifiuti speciali e la restante parte di rifiuti urbani, un numero irrisorio se confrontato a quello degli impianti previsti per i prossimi anni. Greenpeace ha condotto un’indagine conoscitiva sugli impianti esistenti e su quelli previsti in Italia, rivolgendosi direttamente alle amministrazioni pubbliche (Regioni e Province) e alle ARPA (agenzie regionali per la protezione dell’ambiente). Nonostante la collaborazione degli enti pubblici sia stata parziale, risulta evidente nei piani provinciali e regionali di gestione l’orientamento generale a ricorrere alla combustione dei rifiuti.
Dalle informazioni raccolte emerge il seguente quadro non esaustivo:
  • 25 nuovi impianti previsti
  • 6 nuove autorizzazioni
  • 3 interventi di ampliamento e ristrutturazione
  • 7 impianti in fase di collaudo e attivazione
In sintesi nei prossimi anni almeno altri 41 impianti bruceranno rifiuti urbani e speciali, senza tener conto degli inceneritori previsti nelle province da cui non abbiamo ottenuto dati ufficiali. Il ricorso agli inceneritori rappresenta un disincentivo alla riduzione della produzione di rifiuti e alla raccolta differenziata, nonché un’ennesima fonte di inquinamento ambientale e sanitario.
Questa politica di gestione dei rifiuti contrasta le indicazioni della Comunità europea che prevedono, invece, una serie di linee di intervento, recepite a livello nazionale dal decreto Ronchi (1997), quali:
  • q prevenzione
  • q riutilizzo
  • q riciclo
  • q recupero di materia e poi di energia
Questo significa per i sistemi di gestione integrata l’attuazione di strategie di prevenzione della produzione dei rifiuti che prevedano a valle riutilizzo, riciclo e recupero per ridurre la domanda di materie prime ed infine, solo in ultima ratio, il recupero energetico.
In Italia, nel 1999, sono state prodotte 108 milioni di tonnellate di rifiuti di cui circa 50 di rifiuti speciali (esclusi i rifiuti inerti da costruzione) e la restante parte di rifiuti urbani, in cui sono compresi anche quelli derivati dagli imballaggi dei beni di consumo.
In realtà il problema non è solo determinato dal volume dei rifiuti prodotto ma anche dalla loro natura: la pericolosità del rifiuto dipende dall’attività industriale che lo ha generato, ma anche dalla quantità e tipologia dei composti presenti. Per esempio, i fanghi di dragaggio portuale sono considerati rifiuti pericolosi in virtù della presenza di sostanze tossiche (benzeni, metalli pesanti ecc.), derivanti dal traffico portuale e dal dilavamento delle vernici.
Queste sostanze tossiche determinano problemi di natura igienico-sanitaria ed ambientale soprattutto in fase di smaltimento dei fanghi di dragaggio.
Nella gestione integrata dei rifiuti lo smaltimento, cioè la fase conclusiva del ciclo dei rifiuti, ha un valore marginale e, secondo la legge, è ammissibile solo per i rifiuti inerti (derivanti da attività di demolizione), i rifiuti trattati (residuali di operazioni di riciclo, riutilizzo e smaltimento) ed altri individuati da apposite norme tecniche non ancora emanate.
Lo smaltimento finale avviene attraverso il conferimento in discariche controllate o la termocombustione per mezzo di inceneritori (con e senza recupero energetico).
Le problematiche ambientali connesse al conferimento in discarica sono dovute ad immissione nell’atmosfera di gas, quali soprattutto metano, ed inquinanti nel suolo e sottosuolo sotto forma di percolato. Questi fenomeni potrebbero, però, essere evitati se venissero predisposti idonei sistemi di captazione degli inquinanti (biogas e percolato), nonché realizzate misure di impermeabilizzazione del fondo di quelle che verrebbero, a ragione, definite “discariche controllate”.
Gli inceneritori, o termodistruttori, sono impianti di smaltimento che bruciano i rifiuti allo scopo di ottenerne una riduzione in peso e in volume. In realtà la fisica insegna che la materia non può essere né creata né distrutta e durante la combustione essa semplicemente si modifica.
I termodistruttori non distruggono i rifiuti ma li trasformano in ceneri, scorie ed emissioni tossiche. Oltre a non risolvere il problema delle discariche, perché le ceneri dovranno essere a loro volta smaltite in discariche per rifiuti speciali, gli inceneritori non fanno fronte nemmeno all’emergenza rifiuti (in quanto la costruzione di un impianto richiede anni di lavoro) e, soprattutto, vanno contro ogni forma di prevenzione dei rifiuti.
A completare il controverso quadro intorno a questi impianti va senza dubbio sottolineato l’impatto di questa tecnologia sulla salute pubblica: i risultati delle recenti indagini, riportati in sintesi nel presente rapporto, lo dimostrano con chiarezza.
B. Ma come è fatto un inceneritore?
Ogni impianto di termodistruzione prevede l’esistenza di sezioni ausiliarie sia a monte che a valle del combustore (o forno); in genere è possibile distinguere 5 parti principali:
  • 1. Sezione di accumulo e stoccaggio, in cui i rifiuti vengono accumulati prima della combustione.
  • 2. Sezione di combustione, costituita da una camera di ossidazione (forno) realizzata in forme e tecnologie differenti a seconda della tipologia del rifiuto (contenuto energetico, caratteristiche chimico-fisiche ecc.):
    • “Combustori a griglia” (fissa o mobile) per rifiuti urbani tal quali o materiale non omogeneo, con potere calorifico non troppo elevato; questa tecnologia è obsoleta ma ha bassi costi di manutenzione.
    • “Combustori a letto fluido” per frazioni di rifiuti ad alto potere calorifico, come il cdr (combustibile derivato dai rifiuti) o i fanghi di depurazione dei reflui civili.
    • “Forni a tamburo rotante” per varie tipologie di rifiuti (solidi, liquidi, fanghi e rifiuti ospedalieri), in particolare per quelli industriali. Ha maggiori costi di investimento e un basso rendimento di combustione.
  1. Sezione di post-combustione (camera secondaria di combustione), la cui introduzione è avvenuta in Italia nel 1984 al fine di completare la combustione dei rifiuti ed abbattere il cloro, che porta alla formazione dei composti clorurati (come diossine e furani). In realtà si possono verificare degli inconvenienti tecnici per i quali si facilita la formazione di questi composti: le particelle dei fumi che incrostano le pareti possono funzionare da catalizzatori nella formazione di questi composti.
  2. Sezione di raffreddamento fumi, che nei vecchi impianti avveniva senza recupero di energia, oggi dovrebbe essere obbligatorio.
  3. Sezione di trattamento fumi a sua volta suddivisa in tre parti:
  • § depolverizzazione, per la rimozione delle polveri effettuata mediante filtri;
  • § abbattimento dei gas acidi (acido cloridrico, fluoridrico, ossidi di zolfo);
  • § rimozione degli ossidi di azoto effettuata in caldaia mediante un sistema catalitico o attraverso iniezione di alcuni composti (ammoniaca o urea).
C. Quali rifiuti alimentano gli inceneritori?
Il combustibile degli impianti d’incenerimento sono i rifiuti ma non tutti possono essere inceneriti, ad esempio metalli e vetro si ritrovano all’uscita degli impianti e alcune frazioni, come per esempio quella organica (derivante in parte dagli scarti alimentari), hanno un basso potere calorifico che incide negativamente sull’efficienza di combustione.
Al contrario alcuni materiali, in primis la plastica e poi il legno e la carta, hanno un elevato potere calorico, ragione per cui queste frazioni merceologiche, separate dalla raccolta differenziata, molto spesso vengono indirizzate all’incenerimento e non al recupero di materia.
Di seguito sono elencate le tre tipologie di rifiuto che possono essere sottoposte al trattamento termico:
  • q Rifiuto urbano tal quale (RU o RU t.q.) - rifiuto indifferenziato, così come raccolto e comprendente anche quella frazione che rimane a valle di operazioni di raccolta differenziata. Previa separazione di materiali ingombranti ed eventualmente di metalli può alimentare un impianto di incenerimento soggetto ad autorizzazione da parte della Regione.
  • q Frazione secca (o secco) - frazione combustibile derivante da vagliatura meccanica del rifiuto urbano indifferenziato o proveniente da raccolta separata (rimozione degli ingombranti e dei metalli) che può alimentare un impianto di incenerimento soggetto ad autorizzazione da parte della Regione. Rispetto ai RU t.q. presenta un maggiore potere calorifico e caratteristiche di umidità e contenuto di inerti più costanti.
  • q CDR (combustibile derivato da rifiuti) - deriva da un processo di raffinazione della frazione secca attraverso una serie di trattamenti quali triturazione, essiccamento, addensamento, eventuale miscelazione con rifiuti ad alto potere calorifico (plastiche, gomme, legno). Il cdr è caratterizzato da specifici requisiti quali il contenuto di umidità, ceneri, cloro, metalli ecc. ed è utilizzabile in impianti d’incenerimento ed in centrali termoelettriche e cementifici (in quest’ultimo caso in co-combustione con combustibili fossili).
Il cdr rappresenta un disincentivo per il recupero di materia dopo la raccolta differenziata ed inoltre potrebbe essere un ottimo escamotage per la malavita organizzata. Ciò è dovuto al fatto che la costruzione e l’esercizio di un impianto di cdr richiede un iter amministrativo molto snello. E’ necessario, infatti, comunicare solo l’inizio dell’attività alla Provincia competente (secondo le procedure semplificate previste dal decreto Ronchi), applicando il principio del silenzio assenso.
D. Emissioni
Tutti i tipi di inceneritori bruciano i rifiuti immessi ma rilasciano numerosi composti inquinanti nell’ambiente, sia sotto forma solida che gassosa. La formazione di queste sostanze, di cui molte sono ancora oggi sconosciute, dipende da una serie di fattori quali: la tipologia del rifiuto trattato (composizione chimica), le condizioni di combustione e quelle operative di funzionamento dei sistemi di abbattimento degli inquinanti.
Gli inquinanti emessi sotto forma di gas dal camino dell’inceneritore si dividono in microinquinanti e macroinquinanti perché presenti in differenti concentrazioni (rispettivamente ug o ng/ m3 e mg/m3). Tra i microinquinanti si trovano composti organici del cloro, come PCB (policlorobifenili), diossine, furani, policloronaftalene e clorobenzene, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), VOC (composti organici volatili) e metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio ecc.).
Polveri, acido cloridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo e ossidi di carbonio sono invece i macroinquinanti emessi da un inceneritore.
Le sostanze emesse in forma solida si distinguono in ceneri di fondo (che si depositano alla base della caldaia durante il processo di combustione) e ceneri volanti (perché non trattenute dai sistemi di filtraggio aereo).
Molti dei microinquinanti sono noti per essere persistenti, cioè resistenti ai processi di degradazione naturale, bioaccumulabili perché si accumulano nei tessuti degli animali viventi trasferendosi da un organismo all’altro lungo la catena alimentare e tossici, in quanto sono sostanze che possono comportare rischi per la salute dell’organismo con cui entrano in contatto, fino a provocarne la morte.
In questo rapporto verranno presi in considerazione i composti che sono stati più a lungo studiati e che hanno il maggior impatto dal punto di vista sanitario e ambientale.
E. Diossine e furani
Il termine generico “diossine” si riferisce ad una famiglia di composti organici del cloro che comprende 75 tipi di diossine e 135 di furani, di cui 17 suscitano forti preoccupazioni tossicologiche. L’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato la diossina, denominata TCDD, come riconosciuto cancerogeno per l’uomo; altre organizzazioni autorevoli, come l’SFC (comitato scientifico dell’alimentazione umana) e l’OMS (organizzazione mondiale della sanità), hanno concluso che l’effetto cancerogeno delle diossine si realizza solo dopo una certa soglia, mentre altre implicazioni, come effetti sul sistema immunitario, neurocomportamentale e l’endometriosi si possono manifestare anche a livelli notevolmente inferiori alla soglia individuata.
Nel corso del XX secolo sono state identificate diverse fonti di emissione di diossine, tutte accomunate dalla presenza di cloro (sia essa volontaria o accidentale) durante i processi di lavorazione. Tra i diversi procedimenti ricordiamo la sintesi e lo smaltimento dei pesticidi, lo sbiancamento della polpa di legno, i processi metallurgici e, a partire dalla fine del secolo scorso, l’incenerimento, in particolare quello di rifiuti urbani. Questa tecnologia è considerata oggi come la fonte principale di emissione delle diossine.
Le diossine sono ampiamente diffuse in tutto il globo e la ricerca ha dimostrato la loro presenza nel sangue umano e nel latte materno, sollevando notevoli interrogativi sugli effetti che avranno a medio-lungo termine sulla salute pubblica.
Nonostante il progresso dei sistemi di controllo e di abbattimento dell’inquinamento atmosferico abbia determinato una parziale riduzione delle diossine emesse dai camini degli inceneritori, la parte dei composti che non finisce in aria si ritrova comunque nelle ceneri di fondo e quindi causa un impatto, in fase di smaltimento, sul suolo e sulle falde acquifere anziché in atmosfera.
In Italia le emissioni atmosferiche di un inceneritore ricadono all’interno delle disposizioni del D.M. 503/97 che prevede un monitoraggio continuo per alcuni inquinanti quali polveri, acido cloridrico, ossigeno, ossidi di carbonio, zolfo e azoto; mentre per quanto riguarda gli altri contaminanti (diossine e furani, metalli pesanti, PCB) la frequenza delle misurazioni, seppur stabilita da leggi regionali, non deve superare quella annuale.
Ciò determina una carenza di informazioni proprio sui composti a maggior rischio tossicologico, sui quali non viene effettuato un monitoraggio continuo durante le normali condizioni operative, ma vengono usate misure puntuali che potrebbero essere inaccurate e sotto stimare le reali emissioni di diossine nell’aria.
F. Metalli pesanti
Attraverso l’incenerimento i metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio, arsenico ecc.), presenti negli originali rifiuti solidi, sono emessi sotto forma di gas, in associazione a particelle aeree minuscole, di ceneri e di altri residui solidi.
Molti metalli sono tossici e persistenti nell’ambiente e provocano notevoli impatti negativi sulla salute dell’uomo. Per esempio il cadmio è un noto cancerogeno e provoca effetti respiratori acuti (polmonite) o cronici, mentre il mercurio è dannoso al sistema nervoso (quando è presente sotto forma di vapore) mentre i suoi composti inorganici hanno proprietà tossiche anche a basse concentrazioni.
Ad eccezione del mercurio, i livelli dei metalli rilasciati nei gas sono decresciuti nell’ultimo decennio grazie al miglioramento delle tecnologie di abbattimento dell’inquinamento aereo. Ma, come per le diossine, la riduzione delle emissioni in atmosfera di metalli determina un corrispondente aumento dei loro livelli nelle ceneri e nelle scorie, il cui impatto sull’ambiente sarà registrato solo al momento della loro deposizione in discarica.
G. Materia particolata
Tutti gli inceneritori emettono particolato in atmosfera (di cui la maggior parte ha dimensioni microscopiche) e contribuiscono quindi all’inquinamento aereo dovuto alle particelle solide sospese, che rappresenta un serio rischio per la salute dell’uomo.
Gli attuali sistemi di controllo dell’inquinamento aereo possono prevenire l’immissione di solo il 5-30% di particelle in atmosfera (aventi dimensioni inferiori ai 2,5 um) ma non possono prevenire la dispersione della maggior parte delle particelle, dette “ultrafini”, perché di dimensioni così piccole (inferiori a 0,1 um) da oltrepassare le maglie dei filtri.
Questa è la ragione per cui le particelle ultrafini possono raggiungere le regioni più profonde dei polmoni e determinare un notevole impatto sul sistema respiratorio. Recenti evidenze sperimentali indicano come le particelle emesse dagli inceneritori, a causa della presenza di metalli sulla loro superficie, determinino un inquinamento atmosferico più dannoso di quello dovuto alle centrali termiche a carbone suscitando perciò grande preoccupazione per la salute umana.
H. Ceneri
Come accennato nell’introduzione, gli inceneritori producono rifiuti solidi, sotto forma di ceneri e scorie, in quantità pari a circa un terzo del peso del rifiuto immesso. Si distinguono due tipologie di ceneri: quelle volanti (3-5%), che sfuggono ai sistemi di filtraggio aereo e le ceneri di fondo (circa 30%), che si depositano alla base delle caldaie e che dovranno quindi essere smaltite, come rifiuti tossici, in discariche controllate. Tra i rifiuti a valle di un impianto di incenerimento, oltre ceneri e scorie, bisogna annoverare la presenza di materiale non combusto; non di rado, infatti, accade che le condizioni operative della camera di combustione o di post combustione non siano idonee a garantire un completo trattamento dei rifiuti in entrata.
La tossicità delle ceneri è legata sia alla presenza di diossine e metalli sia alla loro facilità di dispersione che provoca problemi di trasporto e di smaltimento finale in discarica. Una volta conferite in discariche speciali per rifiuti tossici, le ceneri rappresentano una potenziale fonte di contaminazione del sottosuolo e delle acque di falda. In alcuni casi, infatti, è stata accertata la contaminazione delle acque ad opera di metalli, come piombo e cadmio, rilasciati dalle ceneri4.
Nel tentativo di ridurre questo fenomeno di rilascio, definito lisciviazione , le ceneri sono talvolta stabilizzate in cemento prima della deposizione in discarica. Sebbene questo metodo riduca il rilascio immediato delle sostanze tossiche, le condizioni atmosferiche e l’erosione potrebbero comunque causare in tempi più lunghi la dispersione di questi elementi e composti nell’ambiente.
Alcuni paesi europei stanno sperimentando l’utilizzo delle ceneri per manufatti impiegati in opere di costruzione (strade e viali), una pratica che riduce sicuramente i costi legati al loro smaltimento. Il problema è legato alla sicurezza di questi manufatti che, a seguito di eventi esterni non prevedibili (terremoti, subsidenza), potrebbero rilasciare i composti tossici e determinare quindi pericolo per l’ambiente e per l’uomo.
Negli ultimi anni ‘90 nel Newcastle (GB) sono state utilizzate ceneri provenienti da un moderno inceneritore come fertilizzanti: nei lotti di terreno fertilizzati sono stati trovati alti livelli di diossine e metalli pesanti4. E’ facile ipotizzare un loro passaggio nei tessuti dei vegetali e quindi nella catena alimentare.
Nonostante la tossicità delle ceneri la Comunità europea non prevede limiti di concentrazione di composti organici e di metalli in questi rifitui e nemmeno ne scoraggia l’utilizzo.
I. L’impatto ambientale e sanitario
Come accennato in precedenza le emissioni degli inceneritori, sia sotto forma solida che gassosa, sottopongono l’ambiente e la popolazione ad una ulteriore esposizione ai composti inquinanti, il cui reale impatto potrà essere documentato solo fra decine di anni.
Le poche indagini inerenti l’impatto ambientale hanno mostrato la presenza di livelli elevati di metalli e di diossine nel suolo e nella vegetazione limitrofa agli inceneritori, nonché la contaminazione causata a prodotti alimentari come il latte di mucca e le uova.
Nonostante l’entità dell’impatto sanitario delle sostanze tossiche dipenda da molti fattori fra cui la concentrazione nell’ambiente, il grado di tossicità e la durata dell’esposizione, esso può essere ricondotto a due tipologie principali:
  • § Occupazionale, legata all’ambiente di lavoro
  • § Non occupazionale, a sua volta distinta in accidentale o ambientale.
La prima si riferisce all’impatto che una sostanza (elemento o composto) può avere sui lavoratori impiegati in un processo produttivo; la seconda invece si distingue in una esposizione accidentale legata ad un evento fortuito, non prevedibile (esplosioni, incendi ecc.) o ad un’esposizione ambientale riferita ad una continuata emissione industriale di composti inquinanti in aria, nel suolo e nelle acque.
Le popolazioni residenti in zone limitrofe agli inceneritori sono fortemente esposte per inalazione e contatto dermico agli inquinanti immessi in atmosfera. La maggior parte di questi entra inevitabilmente nella catena alimentare.
L’immissione nell’aria di particelle fini insieme ad ossidi di zolfo e azoto (SO2 e NO2) determinano un notevole impatto sul sistema respiratorio, in quanto hanno la capacità di raggiungere le regioni più profonde dei polmoni. Oltre a disturbi respiratori di piccola entità come bronchiti e tosse è stata accertata la maggiore probabilità di incidenza di tumori ai polmoni sia per i residenti in aree prossime ad inceneritori che per i lavoratori impiegati in tali impianti.
In queste fasce di popolazione risulta più frequente l’insorgenza di forme tumorali che investono diversi apparati oltre quello respiratorio, quali il sistema gastrico, i tessuti molli (sarcoma) e le vie linfatiche (linfoma non-Hodgkin). I lavoratori impiegati negli inceneritori sono, inoltre, soggetti ad altre patologie come malattie del cuore, alterazioni del sistema immunitario ed è stato trovato un eccesso di lipidi nel sangue e di proteine e tioeteri nelle urine; i tioeteri sono markers biologici ovvero indicatori dell’esposizione tossica a composti come gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici).
I risultati emersi negli ultimi anni suscitano preoccupazione in merito all’impatto dell’incenerimento sulla salute pubblica soprattutto in considerazione del fatto che il numero delle indagini sperimentali è ancora oggi limitato e non abbraccia tutti gli inquinanti emessi da un inceneritore, in quanto non è ancora nota la composizione di molte sostanze.
L. Perché si è contrari all’incenerimento
Si è contrari ad ogni forma d’incenerimento, indipendentemente dalla tipologia di rifiuto incenerito e dalla capacità dell’impianto. Esistono diverse ragioni che giustificano questa posizione, gli inceneritori infatti:
  • Pongono un rischio ambientale - Le sostanze contaminanti emesse da un inceneritore per via diretta o indiretta inquinano l’aria, il suolo e le falde acquifere.
  • Nonostante i moderni sistemi di abbattimento degli inquinanti riescano a limitare ma non abbattere completamente le dispersioni atmosferiche, molto spesso gli stessi inquinanti si ritrovano rilasciati in forma solida. Inoltre la natura della maggior parte degli inquinanti emessi è tale da porre problemi anche a bassa concentrazione e la loro caratteristica di resistenza alla degradazione naturale ne determina un progressivo accumulo nell’ambiente.
  • Pongono un rischio sanitario - Molti degli inquinanti emessi come le diossine e i furani sono composti cancerogeni e altamente tossici. L’esposizione al cadmio può provocare patologie polmonari ed indurre tumori all’apparato urinario e ai polmoni. Il mercurio è dannoso al sistema nervoso centrale ed è riconosciuto come possibile cancerogeno.
  • Non eliminano il problema delle discariche - Nonostante la diminuzione di volume dei rifiuti prodotti, il destino delle ceneri e di altri rifiuti tossici prodotti da un inceneritore è comunque lo smaltimento in discarica per rifiuti speciali, più costose e pericolose.
  • Non risolvono le emergenze - La costruzione di un impianto di incenerimento richiede diversi anni di lavoro (almeno 4-6 anni) e pertanto non può essere considerato una soluzione all’emergenza rifiuti.
  • Richiedono ingenti investimenti economici - Sono impianti altamente costosi (almeno 60 milioni di euro) e a bassa efficienza che necessitano di un apporto di rifiuti continuo, in netta opposizione ad ogni intervento di prevenzione della loro produzione.
  • Disincentivano la raccolta differenziata - Questo sistema di raccolta in Italia si aggira intorno al 13 %, una percentuale irrisoria la cui crescita sarà fortemente penalizzata se la gestione dei rifiuti prenderà la via della combustione.
  • Non creano occupazione - La costruzione e l’esercizio di un impianto determina un livello occupazionale inferiore al personale impiegato nelle industrie del riciclaggio dei materiali pubbliche e private che potrebbe offrire dai 200.000 ai 400.000 posti di lavoro nell’Unione europea.
  • Non garantiscono un alto recupero energetico - Il risparmio di energia che si ottiene dal riciclare più volte un materiale o un bene di consumo è molto superiore all’energia prodotta dalla combustione dei rifiuti. La plastica, che rappresenta circa l’11% in peso dei rifiuti urbani, è l’unica frazione merceologica la cui combustione è più vantaggiosa del riciclaggio: ciò è dovuto al suo elevato potere calorifico (ottimo per il processo di incenerimento) e allo scarso valore commerciale della plastica riciclata (un materiale plastico riciclato, infatti, può essere utilizzato una sola volta ed esclusivamente in applicazioni minori, come arredo urbano, fibre tessili e materiali per l’edilizia).
O. Quali richieste
A Maggio 2001 oltre 90 Paesi hanno adottato la Convenzione di Stoccolma relativa alla graduale eliminazione degli inquinanti organici persistenti (POP), un gruppo di composti chimici considerati fra i più tossici e persistenti, tra cui le diossine.
L’incenerimento dei rifiuti deve essere considerato una delle principali fonti di emissione delle diossine e pertanto è necessario un bando totale di questa pratica di smaltimento dei rifiuti.
Il rispetto del “Principio Precauzionale”, in base al quale si devono prevenire le emissioni di sostanze contaminanti anche in assenza di prove definitive sulla probabilità del danno, dimostra che è necessaria una revisione radicale del sistema di gestione dei rifiuti a favore di misure e tecnologie alternative all’incenerimento.
Si ritiene che la gestione dei rifiuti dovrebbe essere orientata verso obiettivi progressivi di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio, quali:
  1. Eliminazione progressiva di tutte le forme di incenerimento industriale entro il 2020, incluso l’incenerimento dei rifiuti urbani.
  2. Misure normative ed economiche per promuovere il riutilizzo degli imballaggi (bottiglie e contenitori) e dei prodotti (computer, componenti elettronici).
  3. Incentivi finanziari (tassa per la discarica) usati per sostenere il sistema di raccolta differenziata e di riciclaggio.
  4. Incentivi al comparto del riciclaggio attraverso provvedimenti che stabiliscano quantità specifiche di materiali riciclati negli imballaggi e nei prodotti.
  5. Materiali che non possono essere riciclati o compostati con sicurezza alla fine del loro ciclo di vita (come le plastiche) devono essere progressivamente eliminati e sostituiti con materiali ambientalmente sostenibili.
  6. Materiali e prodotti che aumentano la produzione di sostanze pericolose negli inceneritori non dovrebbero entrare nel flusso dei rifiuti. Tali prodotti includono materiale elettronico, metalli e prodotti come il PVC.
  7. Sviluppo di tecnologie e sistemi di produzione che siano più efficienti in termini di impiego di materie prime, energia e di riduzione dei rifiuti prodotti.
  8. Attuazione del Principio Precauzionale.

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