mercoledì 6 aprile 2011

Gli affari delle industrie belliche italiane in Libia

Gli affari delle industrie belliche italiane in Libia. Da cannoni e aerei degli anni '70 ai sistemi di sorveglianza marittima dei giorni nostri

aerei_libiciIl paradosso è sotto gli occhi di tutti: i mezzi bombardati dagli aerei della coalizione, tra cui figurano anche i Tornado italiani, sono italiani. In una foto che ha fatto il giro del mondo (e che pubblichiamo a lato), si riconosce l'obice semovente 'Palmaria', costruito ai cantieri Oto Melara di La Spezia.

In un'intervista a Repubblica di venerdì 25 febbraio, il ministro della Difesa Ignazio La Russa dichiarava: "Non mi risulta che ci siano state consegne di armi al regime, tanto meno nelle ultime settimane". Il 3 marzo, era Finmeccanica a 'smentire' le notizie circolate sulla stampa sulle forniture militari a Gheddafi: "Ribadiamo di non aver mai venduto elicotteri da combattimento alla Libia, ma esclusivamente velivoli per attività di ricerca e soccorso e di controllo delle frontiere".

Il nostro Paese ha invece venduto ingenti quantitativi di armi e mezzi militari alla Libia. Lo ha fatto sin dagli anni '70, sotto forma di aerei, cannoni, missili, blindati, bombe, proiettili, apparecchiature elettroniche, sistemi di sorveglianza, pezzi di ricambio.

La Libia è rimasta sotto embargo dal 1986 al 2004, quando l'Unione dei 25 Paesi europei decise che i tempi erano maturi per ridare fiducia a Gheddafi. Il dibattito sulla revoca del blocco, che oltre al divieto di vendere armi includeva anche il congelamento dei fondi libici all'estero e la fornitura di beni e servizi civili legati all'industria petrolifera, era stato sollecitato dall'Italia, preoccupata dell'immigrazione illegale. Il nostro Paese, apparentemente ansioso di fornire a Tripoli i mezzi necessari al controllo delle frontiere, voleva in realtà riaprire un canale commerciale proficuo anche - e soprattutto - per l'industria bellica.

Dal 2004, le esportazioni di armamenti italiani al regime di Gheddafi hanno registrato un crescendo impressionante. Si è passati da poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 57 milioni del 2007, quando l'Italia consegnava alla Libia sei motovedette della Guardia di Finanza. Proprio in quest'anno Finmeccanica, attraverso la propria societàAlenia Aermacchi, firmava con il ministero della Difesa libico un contratto di tre milioni di euro per la revisione di dodici velivoli addestratori SF-260. Come vedremo meglio nei prossimi capitoli di questa inchiesta, questo velivolo è uno strumento di guerra a tutti gli effetti. Esattamente come l'obice semovente 'Palmaria' dell'Oto Melara (società di Finmeccanica). Nel gennaio 2008, All'Alenia Aermacchi era affidata la fornitura di nove velivoli Atr-42 Surveyor per un contratto da 31 milioni di euro. Non esattamente concepito come un apparecchio di attacco, si tratta comunque di un aero militare usato per "il pattugliamento marittimo, il controllo della acque territoriali e delle zone economiche esclusive, la lotta al traffico illegale di beni e di persone e il lancio di equipaggiamenti per il soccorso in mare". Può trasportare truppe e paracadutisti.

E' tuttavia nell'ultimo biennio che le esportazioni belliche hanno ripreso slancio, grazie al Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi nell'agosto 2008, preceduto a giugno da una visita in Italia - agli stabilimenti Agusta (proprietà di Finmeccanica) - del Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica libica, il generale Al Sherif Alì Al Rifi. Il Trattato, che oggi è sospeso - secondo quanto riferito alcune settimane fa da La Russa - prevedeva un forte e ampio partenariato industriale nel settore difesa e industria militare. Il 29 aprile 2010 è stato inaugurato presso l'aeroporto di Abou Aisha, a pochi chilometri da Tripoli, un impianto gestito dalla Liatec (Spa creata nel 2006 e composta al 50 percento dall'Industria per l'aviazione libica, al 25 percento da Finmeccanica e al 25 percento da AgustaWestland). L'obiettivo della Liatec è "migliorare e sviluppare le capacità del Paese nel settore aeronautico e dei sistemi elettronici". E' un impianto di assemblaggio per elicotteri e svolge servizi di manutenzione di elicotteri e aeroplani, oltre alle attività di addestramento "in missione". E' stato costruito dalla Maltauro, azienda vicentina che ha cantieri e appalti milionari in numerose basi Usa sul territorio italiano. Il Gruppo Maltauro ha acquisito nel 2010 una commessa da 185 milioni di euro per la costruzione, per conto di Alenia Aeronautica, di un nuovo insediamento industriale all'aeroporto militare di Cameri.

Finmeccanica fa la parte del leone anche nelle forniture di sistemi di sorveglianza delle frontiere. Attraverso Selex Sistemi Integrati (società della moglie dell'amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini), ha siglato lo scorso anno un contratto da 300 milioni di euro per la creazione di un sistema di protezione e sicurezza del confine tra Libia e Ciad, con radar capaci di individuare una persona fino a 20 chilometri di distanza.

Il Trattato di 'amicizia' e partenariato è sospeso, ma nemmeno la gravissima crisi libica ha impedito ai capitani d'impresa di Finmeccanica di salutare il 2011 con rinnovato ottimismo: agli inizi di marzo la società, che fattura quasi 19 miliardi di euro, ha annunciato per il 2011 ricavi dalla Libia per 250-300 milioni e commesse per 800 milioni. Allora Guarguaglini dichiarò che il Cda non aveva discusso del congelamento del 2 percento detenuto dal fondo libico. Non è chiaro chi disporrà di quel capitale quando Gheddafi sarà stato 'neutralizzato'. Ma il caos nel Paese africano fa comodo al mercato: a guerra finita, la ricostruzione aprirà nuove e redditizie prospettive per gli investitori europei.

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Libia, il mestiere delle armi - 2

Libia, il mestiere delle armi - 3

Luca Galassi

tratto da http://it.peacereporter.net

marzo 2011

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