lunedì 11 ottobre 2010

La polizia uccide, lo Stato paga: 2 milioni alla famiglia Aldovrandi

Lo Stato offre 2 milioni di euro come risarcimento alla famiglia Aldrovandi

aldrovandiLo Stato ha deciso di risarcire la famiglia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005: ai familiari andranno quasi due milioni, ma in cambio lo Stato chiede loro di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti sulla vicenda. “E’ un passo importante - dice Patrizia Moretti, la madre del ragazzo - una tragedia così non si chiuderà mai, Federico non ce lo restituirà mai nessuno, ma l’importante è che la sua memoria sia quella giusta. Quello che mi interessava era far sapere quello che è successo, e questo è un obiettivo raggiunto”.
Per uno dei legali della famiglia, Fabio Anselmo, che ricorda come il ministero dell’Interno non è mai stato citato come responsabile civile, la decisione di accordare il risarcimento “è un’ammissione di responsabilità di indubbia valenza. Dal punto di vista umano sono dispiaciuto, avrei voluto essere in appello. Ma capisco la fatica della famiglia per tutta questa battaglia”.
Le responsabilità penali restano in capo agli imputati: i quattro poliziotti di pattuglia quella mattina sono stati condannati in primo grado per eccesso colposo in omicidio colposo, e altri tre loro colleghi sono stati condannati per il depistaggio delle indagini (per un altro il processo è ancora in corso). “Oggi si può cominciare a parlare di pacificazione”, dice ancora l’avvocato Anselmo, ricordando che la famiglia del ragazzo “non ha mai avuto un atteggiamento di contrapposizione nei confronti della polizia, ma ha solo lottato perché fosse ristabilita la verità”. Intanto a Ferrara si lavora per dar vita ad un’associazione delle vittime delle forze dell’ordine. “L’idea è nata per aiutare chi si è trovato in una situazione simile alla nostra - spiega la mamma di Federico - lo scopo è chiedere aiuto allo Stato perché non lasci solo chi si trova in difficoltà”.

tratto da La Repubblica del 10 ottobre 2010

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