La confederazione Cobas di Terni ha indetto stamattina un presidio per la democrazia davanti al Tribunale di Terni, in corso del Popolo cui hanno partecipato decine di antifascisti e cittadini ternani appartenenti ad associazioni, partiti, centri sociali e sindacati di base.
In Tribunale, davanti al giudice monocratico si è discusso il ricorso contro il divieto di usare telefoni cellulari notificati dal Questore a cinque degli 11 avvisati oralmente per aver partecipato al presidio antifascista contro la presenza organizzata di casaPound all’aviosuperficie di Terni il 28 febbraio 2010.
L’avvocato romano Simonetta Crisci nella sua arringa ha eccepito la costituzionalità dell’applicazione dell’avviso orale a persone che fanno attività sindacale o politica, perché questo (pensato per soggetti che appartengono al crimine organizzato come mafia, camorra e ‘ndrangheta ne definisce la presunta pericolosità per la società) viola il diritto di esprimere e manifestare liberamente il proprio pensiero. Ricordiamo che la Questura di Terni ha di fatto intimidito alcune tra le centinaia di manifestanti che contestarono decisamente, ma senza violenza (come riportano tutte le cronache di quei giorni) la presenza neofascista all’aviosuperficie. Ma ancora più grave risulta il fatto che la Questura si sia avocata il diritto di emanare provvedimenti limitativi delle libertà individuali senza l’avallo di un magistrato. Questo configura un abuso di potere e comunque una pesante violazione dei diritti costituzionali e delle competenza degli organi di polizia. L’avvocato Crisci ha sottolineato l’anomalia del comportamento della Questura e il fatto che la sentenza farà precedente perché è la prima volta che in Italia si verifica un fatto del genere. E’ stato anche contestato che i divieti emanati dal Questore non abbiano termini di scadenza. Il giudice si è riservato di emettere la sentenza a breve, presumibilmente entro una settimana
La confederazione Cobas, che ha promosso i ricorsi per il grave attacco alle libertà sindacali, di espressione e manifestazione attuate dal Questore e dalla Digos di Terni ribadisce la sua assoluta condanna alle intimidazioni poliziesche, ricorda al Questore e alla Digos che la Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza contro il nazifascismo, nella Costituzione vieta la ricostruzione del partito fascista: manifestare l’ antifascismo non è un reato, né mette in pericolo la sicurezza pubblica, al contrario di quanto sembra pensare la polizia nella nostra città. A seguito dei verbali polizieschi decine di persone sono attualmente indagate per la manifestazione del 28 febbraio che, pur con tensioni e radicalità nei contenuti, è stata assolutamente priva di violenza, una manifestazione cui hanno partecipato centinaia di cittadini, liberamente e a viso scoperto per esprimere la loro contrarietà all’uso politico da parte dei neofascisti di uno spazio pubblico, come l’aviosuperficie, una manifestazione cui hanno partecipato anche importanti cariche politiche come il vicesindaco, consiglieri ed assessori comunali e regionali, una manifestazione che ha ottenuto l’importante risultato della modifica da parte del consiglio comunale del regolamento dell’aviosuperficie e del divieto di uso per i neofascisti.
Ci sembra preoccupante il comportamento e l’atteggiamento delle forze dell’ordine a Terni improntato al vecchio adagio due pesi e sue misure: mentre si notificano avvisi orali e si indagano decine di partecipanti a manifestazioni antifasciste o antirazziste, quando questa estate, il 17 giugno, una bomba carta -di chiara matrice fascista- è stata fatta esplodere nella notte davanti alla sede della confederazione Cobas e del centro sociale che prende il nome del partigiano Germinal Cimarelli, svegliando un intero quartiere si è minimizzato il fatto, parlato di ragazzata e, a quanto ne sappiamo, nonostante le denunce presentate, nessuna seria indagine è stata svolta. La confederazione Cobas lancia ai lavoratori ed ai cittadini un appello per l’agibilità democratica di Terni, contro le intimidazioni poliziesche, perché i diritti e le libertà costituzionali vengano rispettati.



La telecronaca dal campo di Italia-Serbia di ieri è destinata a passare agli archivi come un documento sull’impossibilità dei giornalisti sportivi a commentare fatti che avvengono negli stadi. Esilarante la gaffe in diretta sul saluto dei giocatori serbi ai loro tifosi, saluto fatto nel tentativo di calmarli e di farli sentire dalla loro parte. I giocatori della Serbia hanno salutato infatti, con un fare molto timido e tipico di chi teme che gli arrivi addosso un oggetto contundente, col gesto tradizionale dell’esposizione delle tre dita. Che è il gesto storico del nazionalismo serbo e indica fedeltà a dio, alla patria e allo zar (quello moscovita, in nome dell’alleanza panslava). Dalla postazione della Rai è partito, senza pensarci un attimo, un commento che voleva il gesto delle tre dita come il timore espresso verso lo 0-3 a tavolino che sarebbe costato alla squadra che avrebbe provocato la sospensione della partita. Dallo studio Rai hanno capito la portata della gaffe, è come dire ad una cerimonia ufficiale che il saluto a pugno chiuso è preludio ad un cazzotto, e dopo un’oretta hanno fatto correggere in diretta il commento dei due giornalisti.






Lo Stato ha deciso di risarcire la famiglia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005: ai familiari andranno quasi due milioni, ma in cambio lo Stato chiede loro di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti sulla vicenda. “E’ un passo importante - dice Patrizia Moretti, la madre del ragazzo - una tragedia così non si chiuderà mai, Federico non ce lo restituirà mai nessuno, ma l’importante è che la sua memoria sia quella giusta. Quello che mi interessava era far sapere quello che è successo, e questo è un obiettivo raggiunto”.
